Rottamare o rigenerare le ragioni della sinistra ?
Le primarie del Pd sono appena passate, Matteo Renzi è il nuovo segretario con un consenso così vasto da lasciare pochi margini al dubbio: al di là della retorica comunicativa sul termine “cambiamento”, quasi tre milioni di italiani hanno dato una ennesima prova di rigetto verso la classe dirigente della sinistra della seconda repubblica.
Sicuramente sono stati tantissimi gli elettori del centro sinistra ad essersi espressi, ma è pure verosimile che molti altri hanno approfittato dello strumento loro offerto, le primarie, per esprimere il rancore traboccante oppure il semplice interesse di dare il colpo di grazia ai propri avversari storici.
Resta che da qualunque prospettiva la si legga, la votazione delle primarie costituisce un momento di estrema rilevanza per la storia della seconda Repubblica, perché sicuramente si apre lo spazio per riprendere la discussione su cosa sia oggi la sinistra, stavolta senza la piena egemonia dei dirigenti post Pci.
Nel fervore post primarie qualcuno dice che sia davvero finito il novecento, in realtà è lecito dubitare che sia stato davvero raggiunto l’obiettivo delle persone che si sono espresse dopo lunghe file la domenica dell’ Immacolata, ovvero mettere in discussione se non far terminare l’egemonia della dirigenza ex-pci, pds, ds sulla politica della sinistra italiana. Come è anche tutta da dimostrare la presenza di una nuova generazione politica in grado di poter dare vita alla terza repubblica.
Dunque sta davvero avvenendo un cambiamento, cambiandoverso (come da slogan della campagna di Renzi)? Se quanto accaduto è condizione sufficiente per osservare la scossa forse più forte del terremoto che da anni sta colpendo il nostro sistema politico, non è però condizione necessaria a dare per sicura la direzione del cambiamento, il cosa e come cambiare, tanto meno con quali protagonisti.
Il risultato politico delle primarie ci dice che il voto non è andato ai “renziani”, ma a Renzi e a ciò che egli rappresenta, cioè la messa in pensione immediata della vecchia nomenklatura della sinistra. Se infatti fosse stato più chiaro che gran parte di questa, da Veltroni a Fassino passando per Bassolino, Ranieri e gran parte di chi prima era con Bersani, era schierata con il sindaco di Firenze, forse il risultato sarebbe stato diverso. Quantomeno nella partecipazione dei non iscritti al Pd. Questa la prima contraddizione.
Ancora, se è vero che con Renzi si affaccia una nuova generazione è davvero difficile pensare che possa cambiare un partito che nel suo corpo territoriale è composto dagli stessi gruppi di interesse che sino a ieri erano con “quelli da rottamare”, mettendo così in discussione gli equilibri locali incardinati sui soliti notabili che, sino ad oggi e verosimilmente anche domani, sono quelli che poi compongono le liste elettorali.
Quale è poi, la primavera generazionale che Renzi e le altre facce nuove possono rappresentare? Domanda legittima se si pensa che la gran parte del voto giovanile sta nel totale disinteresse o in aggregazioni che fanno del populismo l’unica ragione politica.
Molti degli stessi rottamatori, la nuova segreteria del Pd ne è limpido specchio, sono volti giovani dei potentati vecchi perché da loro creati; difficile pensare che essi possano avere la credibilità necessaria per rappresentare le generazioni che oggi infoltiscono le fila della contestazione. È lecito dunque a mio avviso temere che accada quanto già successo dopo il ’93: non cogliere la richiesta di un cambiamento basato su una profonda revisione storica e progettuale della cultura politica sui cui si basa la risposta alla domanda: che cosa è la sinistra oggi.
Se infatti il cambiamento sarà l’ennesimo slogan di sinistra senza un senso compiuto, un’ operazione di pura facciata seppur dal bel volto, la vera partita resterà senza giocatori: quale nuova visione oggi può rigenerare le ragioni della sinistra? Questo è il tema, la sfida non colta alla caduta della prima repubblica e verosimilmente origine dei disastri di oggi. Senza una revisione del novecento mirata a costruire queste nuove ragioni della sinistra, come si capirà chi sono “i più deboli” da tutelare, quali sono oggi le “ingiustizie sociali” da combattere, con quali metodi e con quali persone condurre le battaglie di “emancipazione e di libertà” ?
Il rischio di un fallimento oggi potrebbe coincidere con il fallimento della democrazia, seguendo la deriva giacobina moralista del “tutto fa schifo, sono tutti ladri”, come già accaduto nel ’93/’94 con tangentopoli.
Come e più di allora, accade oggi che gli esempi di degenerazione del sistema democratico diventano l’alibi per la destrutturazione della democrazia stessa, piuttosto che essere stimolo a difendere l’impianto di valori e il sistema istituzionale su cui la Costituzione, sebbene in alcuni punti da aggiornare, basa le sue fondamenta.
A differenza di vent’anni fa però c’è un livello di sfiducia, di rancore, di odio che ieri si canalizzava in quello che rimaneva della prima repubblica secondo lo schema guardie/ladri, oggi invece diventa puro caos su cui soffiano interessi di chi vuole riportare l’Italia indietro ad anni bui mediante la contrapposizione strumentale tra democrazia rappresentativa e diretta.
La sinistra paga l’aver acconsentito in questi anni all’appiattimento della azione politica solo sulla “morale”, scaricando il peso del proprio mancato rinnovamento sul sistema giudiziario: ieri facevano comodo le campagne stampa basate sul sospetto o sull’apertura di un fascicolo da parte della Procura tal dei tali, oggi questo metodo è usato per fare piazza pulita proprio di chi su questo schema ha costruito la propria “linea politica”.
Ieri si vedevano i cappi portati dai parlamentari della Lega Nord, oggi è un intero gruppo parlamentare comandato da un comico nemmeno eletto a rappresentare il rancore del paese, affidato a cittadini sconosciuti,eletti al Parlamento senza essersi mai misurati in una tornata elettorale nel proprio territorio (in alcuni casi chi lo ha fatto ha preso un solo voto!), senza alcuna preparazione, ma con tanta rabbia: perfetti per essere il grimaldello con cui dare l’assalto alle istituzioni. Questo il preoccupante risultato di chi ha soffiato sul fuoco dell’ antipolitica, questo il prodotto di una politica chiusa nell’interesse personale ed autoreferenziale.
In questo contesto giungono lo primarie e sarebbe sbagliato non tenerne conto, perché a differenza degli anni del crollo della prima repubblica c’è una crisi economica e sociale tipica dei periodi più oscure della storia, c’è un in individualismo feroce che mette sempre più “tutti contro tutti”, c’è la crisi del sistema Europa divisa tra un nord che si chiude ed un sud che ne paga sempre più il peso, c’è la crisi degli organi di coesione sociale , della sussidiarietà dello Stato. Ci sono tutti gli ingredienti che rendono assolutamente imprescindibile non commettere l’errore di allora: saper davvero cambiare.