Andy Warhol: Vetrine a cura di Achille Bonito Oliva
E’ sempre bello vedere file gremite e ordinate di persone assetate di cultura.. disposte a lunghe attese pur di appagare una curiosità.. La gratuità dei primi tre giorni ha dato una grossa mano all’evento già di per sé ampiamente pubblicizzato attirando al Pan orde di persone totalmente digiune di nozioni sulla pop art o del rapporto di Warhol con la città. Ho avuto la possibilità di essere presente all’inaugurazione e ho avuto due sorprese.
La prima sorpresa è stata constatare la totale assenza di ‘legende’ in ognuno dei quattro spazi ‘vetrine’ (da cui deriva il titolo della mostra) in cui sono esposte molte delle opere più rappresentative del legame di Warhol con il mondo commerciale: questa, che non può dipendere da una dimenticanza o da una banale sciatteria dell’allestimento, è sicuramente una scelta consapevole, operata dall’illustre curatore della mostra che lascia però quanto meno perplessi. Niente data, tecnica usata, nomi di personaggi ritratti più o meno noti.. come ovviare a ciò:
- pagando una guida che spieghi;
- noleggiando un audio guida;
- acquistando il catalogo della mostra.
Bà.
La seconda sorpresa deriva dal fatto che i sorveglianti delle varie sale (almeno limitatamente al giorno in cui sono stata io) avevano avuto disposizioni tassative di impedire a chiunque di scattare foto. Perché? A mio avviso è un divieto che non ha alcun senso proprio alla mostra di Warhol che durante tutta la sua vita aveva inseguito il suo sogno di ‘popolarità attraverso la moltiplicazione seriale delle proprie opere, in un’inedita competizione con le tecniche di produzione industriale e le regole della grande distribuzione’. Senza voler scomodare Walter Benjamin o entrare in merito al dibattito dell’estetica del ‘900, credo che la Pop art – che nell’opera di Warhol una delle sue massime espressioni – si alimenti degli stimoli visivi (e finanche della loro riproduzione seriale..) che circondano l’uomo contemporaneo sfociando nel cosiddetto “folklore urbano” della cultura di massa.
La mostra resta molto interessante per il rapporto di Warhol con la città a metà degli anni ‘70 grazie all’amicizia con il gallerista Lucio Amelio e alla volontà di Mario Franco e – per gusto personale – ho apprezzato le numerose cover esposte, pezzi tangibili di storia del rock, nate da collaborazioni avute dall’artista con case discografiche, cantanti e gruppi musicali. Alla fine l’importante è che questo evento rappresenti un’opportunità per amplificare l’attenzione sulla ‘vetrina’ delle meraviglie di Napoli.. vedremo nei prossimi giorni, in cui l’ingresso sarà a pagamento, come reagiranno turisti e partenopei.