Cerchiamo di non assecondare Renzi nei suoi giochetti
Che ci sia un disegno per spaccare in due l’Italia è fin troppo chiaro e che questo sia il disegno di Renzi lo è ancora di più
Fatta questa premessa, penso che sia necessario andare oltre le dichiarazioni, pur giuste e ragionevoli, sull’esistenza del conflitto tra capitale e lavoro. Non penso che Renzi sia così scemo da non conoscerlo, solo che gli interessa considerarlo un retaggio del passato, roba da museo.
Renzi sta perseguendo con determinazione l’obiettivo di distruggere il ruolo dei corpi intermedi per ergersi come unica personalità in grado di garantire equilibrio, stabilità, progresso e benessere agli italiani, in un quadro di concordia nazionale e di pace sociale che metta ai margini, insieme ai “rottami” del sindacalismo confederale, gli ultimi esponenti della sinistra “radicale ed ideologizzata”, ostile al cambiamento proposto dalla moderna sinistra, che ovviamente è la sua e che avrebbe dalla sua parte il popolo del PD pressoché al completo (quadri, militanti, iscritti ed i soliti volontari delle feste dell’Unità, sempre comodi quando fa comodo).
Anche questo è chiaro a tutti.
Inizia ad esser chiaro un altro fatto, che rende Renzi estremamente pericoloso e non solo nel breve periodo.
Lui non si muove più, soprattutto dopo la manifestazione del 25 ottobre, lungo l’asse sinistra/destra (utile solo a definire “sinistra radicale” tutto ciò che gli si oppone da sinistra), ma gioca ormai, spudoratamente, sulla contrapposizione tra fiducia e ottimismo da un lato e sfiducia e catastrofismo dall’altro. In questo evoca la sfida berlusconiana dell’amore contro l’odio, dell’Italia che lavora e produce contro l’Italia che protesta, fatta di garantiti, fannulloni, sindacalisti che vogliono conservare il proprio potere di interdizione e politici senza futuro.
Berlusconi, però, paragonato a Renzi è un dilettante, ne è stato una sorta di versione “beta”. È Renzi il fuoriclasse.
Sicuramente a favore di Renzi ha giocato, e continua a giocare, un sostegno mediatico senza precedenti, dal quale ogni tanto si staccano alcune briciole ma che sostanzialmente rimane inalterato.
Renzi ha saputo interpretare il sentimento medio dell’elettore medio e dell’iscritto, medio anch’esso, del PD, quello del “finalmente abbiamo trovato quello che ci fa vincere” sapendo che difficilmente potrà perderne il sostegno.
Inoltre, si è posto come unica possibile garanzia per la ripresa economica, promettendo agli imprenditori maggiori ed insperati margini di manovra sul livello e sulla qualità occupazionale. Tutti gli imprenditori sanno che l’art 18 non è la causa della recessione e della disoccupazione, ma un presidente del consiglio che gli promette maggior libertà nei confronti dei lavoratori – che saranno senza diritti opponibili al licenziamento, soggetti a possibili demansionamenti e monitorati a distanza – e più alti profitti, svalutando ulteriormente il lavoro, non può che avere il loro entusiastico sostegno.
In più, un protagonismo di facciata a livello europeo, un minestrone di annunci sospesi tra Alberto Sordi (“è stata la malattia che c’ha bloccato. ..”) ed Ettore Petrolini (“l’Italia rinascerà più bella e più superba che pria”) che hanno saputo intercettare il favore dell’elettorato moderato che ha sempre guardato con orrore al realismo, scevro di risvolti cabarettistici, della sinistra politica e sindacale, che ha un vero e proprio odio nei confronti delle organizzazioni di massa, che ha in odio le caste, quelle degli altri, e che si nutre di antiparlamentarismo almeno due volte al giorno. Un populismo moderato, che non apprezza il volto selvaggio di Grillo ma ne sposa i contenuti, trovando in Renzi il perfetto interprete e realizzatore dei propri desideri.
Una coalizione quasi imbattibile, con una capacità di tenuta garantita da un’occupazione quasi ossessiva della piazza mediatica.
Per questo, finora, Renzi ha evitato la piazza vera e propria. Non gli è servita. Ma non è detto che la scelta sia irreversibile. C’è già chi ha evocato una riproposizione della famosa marcia dei 40.000 e la maggioranza silenziosa. Potrebbe non essere una boutade.
Intanto, abbiamo assistito ad un inasprimento delle modalità di gestione dell’ordine pubblico ed alla riproposizione di un modello intimidatorio nei confronti di chi manifesta a difesa dei propri diritti, politici e sociali, con la sostanziale copertura garantita ai titolari della gestione dell’ordine pubblico. Cose già viste, peraltro, nei periodi più bui della storia repubblicana.
Il “che fare” è un problema che riguarda tutti coloro che non ci stanno ad esser rinchiusi nel recinto mortifero della “sinistra radicale”.
Tutti coloro che sentono di appartenere al campo “largo” della sinistra, una sinistra che vuole governare avendo chiaro quale sia il proprio blocco sociale di riferimento, e tenendo ben saldi i legami con esso, riaffermando la propria cultura politica, la propria identità, senza rinunciare alla propria memoria storica ed alla propria grammatica, fatta di parole, ideali e visioni, devono porsi tutti insieme, coordinandosi fra loro, il problema di come uscire da una situazione che è, di fatto, molto difficile.
Un punto è stato messo con la manifestazione dello scorso 25 ottobre e con il confronto di piazza della scirsa settimana a Roma, che ha costretto Renzi ad un preoccupato silenzio per due lunghi giorni.
Ora tocca ai parlamentari.
Jobs act, legge di stabilità, riforma costituzionale e riforma elettorale.
Su ognuno di questi temi è in gioco il futuro dell’Italia e della stessa sinistra, se questa non vuole correre il rischio della dissoluzione.
Lo ha spiegato in modo sublime Michele Prospero la scorsa settimana: l’attendismo non paga ed è la strada più sicura verso l’autodistruzione.
Renzi rifiuterà qualsiasi mediazione e qualsiasi compromesso; al massimo si mostrerà magnanimo nel concedere qualcosa: non può permettersi mediazioni, perché sarebbero lette come un arretramento, un cedere alla piazza e sarebbero percepite come una sconfitta.
Pensare alla scissione qui ed ora sarebbe una follia. Significherebbe cedere all’emotività, rassegnarsi ad un ruolo marginale, ad una sostanziale inutilità. E, ora, renderebbe più debole il sindacato.
Non cedere di un millimetro in parlamento è la sola strada percorribile. Anche negando la fiducia sui singoli provvedimenti, come accaduto, in forme anche più eclatanti, in Francia, dove nessuno ha richiesto l’espulsione dei parlamentari socialisti che hanno negato la fiducia al nuovo governo. Loro non hanno avuto il timore di andare avanti con coerenza, sono rimasti in tanti ed agguerriti.
Guerriglia parlamentare? Certo, ma anche guerra a viso aperto. Perché ognuno dei temi su cui si svilupperà il confronto in Parlamento, sarà decisivo per imprimere un carattere progressivo o regressivo alla nostra democrazia.
Dal jobs act alla riforma elettorale, qualsiasi cedimento rappresenterebbe un errore irrimediabile.
Una grande manifestazione di popolo dura un giorno, dura una settimana sui media, ha un elevatissimo valore simbolico ma la sua vera utilità consiste nell’essere un punto di partenza per una mobilitazione che sia insieme sociale, politica e culturale e che, soprattutto, sia in grado di durare nel tempo configurandosi come la sola e reale opposizione al governo. Una opposizione che saldi rappresentanza sociale e rappresentanza politica degli interessi del Lavoro, nella sua accezione più ampia.
Si vedrà in seguito se questa opposizione dovrà darsi anche una organizzazione, una struttura e un nome.