Chi vuole spegnere l’Unità e perché
La nuova Unità, fondata 90 anni fa da Antonio Gramsci, cui il quotidiano dedicherà nel 2014 un ampio spazio di approfondimento del ‘pensiero’, è, per saggia decisione del Cdr di soprassedere allo sciopero annunciato per oggi, in edicola. La sua presenza da qualche mese ha però tolto sonno e senno a una certa sinistra giustizialista, capeggiata dal Fatto Quotidiano, specialista in titoloni ad effetto, scoop roboanti, girotondi, adunate di piazza, facendosi portavoce dei “solitari che fecero l’Italia”: Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Enrico Berlinguer.
È questa la sfida culturale che si sta svolgendo a suon di colpi bassi, smentite e annunci di querele, tra la nuova Unità di Matteo Fago e Luca Landò, rispettivamente socio di maggioranza con il 51,06% della Nie e direttore del quotidiano, che vogliono fare del quotidiano il punto di riferimento culturale del rinnovamento della sinistra nel solco di Gramsci: “Il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito. Dovrà essere un giornale di sinistra…”.
Prospettiva che evidentemente angoscia il Fatto al punto di sferrare colpi bassi in sequenza con relative smentite.
Primo colpo basso, “non è il sol dell’avvenire quello che splende oggi sul quotidiano ex comunista l’Unità ma uno spicchio del Sole 24 Ore” e “più precisamente è il sole di Alfonso Dell’Erario”, che da responsabile comunicazione dell’organo della Confindustria, aspira a fare il direttore dell’Unità: pressing assurdo immediatamente stroncato con decisione da Fago.
Secondo colpo basso: “l’Unità da Gramsci a Lavitola”, in conseguenza, deduzione del Fatto, dell’ingresso dell’ex senatrice di Forza Italia, Maria Claudia Ioannucci, già avvocato dell’ex-direttore dell’Avanti Valter Lavitola, ed ex-moglie di Dell’Erario, in ‘Partecipazioni integrate srl’, società che ha il 13,98% della Nie.
Un titolo che eccita sia Il Giornale che Libero: ‘la berlusconizzazionè dei media approda a sinistra!
Terzo colpo basso a Capodanno: “Unitola” del vice-direttore Marco Travaglio, definito a suo tempo da Indro Montanelli, “un Grande Inquisitore, da far impallidire Vyšinskij, il bieco strumento delle purghe di Stalin”. Scrive e straparla Travaglio: “[…] Lo psico-guru Massimo Fagioli, mentore dell’azionista Matteo Fago, è parecchio su di giri, ma non siamo in grado di riportare il suo commento perchè non si capisce niente”. Balla colossale. “Su di giri?”. Travaglio, per effetto del meccanismo detto proiezione: mettere proprie dimensioni negli altri che di norma si odiano, evidentemente parla di se stesso…”non si capisce niente”?
Certo, di quel che scrive: non risulta infatti che lo psichiatra Massimo Fagioli abbia rilasciato dichiarazioni in proposito. Travaglio, e la testata cui appartiene, vede ovunque aggirarsi ‘il fantasma’ dello psichiatra dell’Analisi collettiva che non fa parte né della Nie, nè della redazione dell’Unità, né è mentore di Fago. Come quando a fine novembre riportò in un trafiletto un falso clamoroso: “Imu: Via. Cancellata. Non è un ricatto del centro-destra in cerca di voti: è una cosa condivisa. Il Pd si è convinto della sua sparizione dopo un’analisi collettiva a casa di Massimo Fagioli”, seccamente smentito dall’interessato: “[…] La battuta è molto cretina, ingannevole! Perché il lettore distratto potrebbe prenderla come vera e diffamarmi come se fossi di destra, mentre è stato sempre il contrario, cioè sempre di sinistra”. O quando a fine settembre titolò: “Veltroni nuovo direttore dell’Unità” subito smentita da Fago.
Arrivano così a fine anno le repliche-smentite al direttore del Fatto direttamente dalle colonne dell’Unità dai vertici societari, “[…] perché è ai nostri lettori in primis che mi voglio rivolgere”, scrive Fago precisando le quote degli azionisti Nie e conclude, “[…] Le faccio notare che c’è una sostanziale differenza tra il 30% che mi attribuite e il 51,06% che è la realtà della mia partecipazione. È poi del tutto inaccettabile il titolo che fate ‘L’Unità da Gramsci a Lavitola’ perché non esiste alcuna ipotesi di un passaggio del controllo della società a Lavitola o ad altri. Per vostra informazione né l’Unità né il sottoscritto hanno mai avuto a che fare con Valter Lavitola come da voi insinuato. Vi diffido pertanto dal fare ulteriori accostamenti, seppur indiretti, tra la mia persona e vicende che sono a me del tutto estranee, riservandomi di procedere per le vie legali per tutelare la mia onorabilità per quanto da voi pubblicato”.
Segue la replica-smentita dell’ad della Nie, Fabrizio Meli, sulla “[…] ennesima provocazione del Fatto Quotidiano, interessato non certo alla ‘purezza’ dell’azionariato de l’Unità bensì a portare discredito a un giornale concorrente.
Operazione tanto più odiosa in quanto portata avanti da quanti con ruoli diversi, direttore, vicedirettore, editorialisti vari e manager, hanno lavorato per anni proprio per l’Unità, percependo stipendi assai elevati e lasciando deficit altrettanto elevati e questo quando i tanto dal Fatto stesso oggi vituperati contributi pubblici erano pari al doppio di quelli attuali” e conclude, “[è] opportuno ricordare che gli stessi Antonio Padellaro […] e l’ex senatore Furio Colombo sono ancora oggi presenti con una quota nell’azionariato della Chiara srl, società che controlla parte del pacchetto azionario della Nie spa”.
L’opera di discredito del Fatto è confezionata oltre che con ‘ballè a partire dalle quote societarie, Fago non ha il 30% ma il 51,06% anche con gravi omissioni: nella ‘Chiara srl’, dell’ex presidente di Impregilo e Banca Popolare di Milano, Massimo Ponzellini, finito agli arresti domiciliari con l’accusa di “[…] infedeltà patrimoniale e associazione a delinquere finalizzata alla commissione di corruzione, appropriazione indebita, violazione del divieto degli esponenti bancari di contrarre obbligazioni, emissione di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio”, che ha una partecipazione dell’1,2% nella Nie, figurano come soci Padellaro (2%), Colombo (2%) e Alessandro Dalai (2%).
Ecco a inizio 2014 l’editoriale, elegante e in punta di pennino, del direttore dell’Unità, Landò: “La strategia del fango quotidiano” in cui ironizza su Travaglio, “[…] poiché non è né Villaggio, né Lillo, né Greg, l’effetto è quello più temuto da attori e sceneggiatori: il testo è moscio, l’appaluso manca, sul palco sventola bandiera bianca”. E in chiusura, piena sintonia con il Cdr che ha apprezzato “le aperture” di Fago per aver “compreso il nostro disagio”, chiarisce “il pacchetto dei cinque giorni di sciopero non sono legati al ‘caso Lavitola’ (che per l’appunto è un’invenzione del Fatto e di cui il Fatto risponderà in opportuna sede) ma delle modalità che hanno portato la signora Ioannucci […] a rilevare quote di una società della compagine azionaria dell’Unità senza che né il direttore né il cdr venissero informati”.
Il chiarimento ci sarà nei prossimi giorni, il 7 gennaio e saggiamente il Cdr ha sospeso la giornata di sciopero di oggi e altrettanto saggiamente anche le restanti del pacchetto di cinque giorni. E non per arrendevolezza, ma per saggezza. La nuova Unità non ha bisogno in questa fase di rilancio di smottamenti, tensioni e fibrillazioni, che inevitabilmente si ripercuotono, negativamente, all’esterno, come lucidamente vorrebbero i vertici del Fatto e della stessa Repubblica per conquistare altri lettori della ex-area Pds e Ds, ma di un clima di fiducia e serenità attorno ad un serio, competente, determinato editore che, coraggiosamente, l’ha salvata dal fallimento cui hanno concorso prima il trio Padellaro, Colombo e Travaglio e poi il tandem Concita De Gregorio e Giovanni Maria Bellu, venuti dal ‘partito-editoriale’, Espresso-Repubblica.
Il trio del Fatto, si tenga De Gasperi, Togliatti e Berlinguer “i solitari che fecero l’Italia”, come sostiene l’ex-uomo della Fiat, Colombo, ma si rassegni, come del resto il focoso e fumoso Beppe Grillo, all’esistenza e alla crescita della nuova Unità il cui referente storico è Gramsci, rivisitato da storici, filologi, intellettuali, senza ‘le lenti deformate di Palmiro Togliatti che non mosse un dito per liberare il prestigioso detenuto dalle carceri fasciste come invece fece l’Inge, Riccardo Lombardi, confezionando una chiavetta nascosta in uno gnocchetto di pasta frolla con cui, ad un segnale convenuto, Gramsci si sarebbe dovuto liberare delle manette durante il trasferimento, nel 1928, da San Vittore al Tribunale speciale per il processo, raggiunto da una inopportuna e deleteria missiva di Grieco partita da Mosca!