Ci vuole più chiarezza all’interno del Pd
Non condivido le critiche al Bersani post – elettorale. Mi piace molto di più questo Bersani di quello della campagna elettorale, convinto di avere già la vittoria in tasca e impegnato a inseguire Monti e a tranquillizzare le cancellerie europee. Dopo le lezioni Bersani ha scelto una linea coraggiosa fino alla temerarietà.
dato atto, con una sostanziale autocritica, di fronte alla Direzione del Pd, delle inadeguatezza della piattaforma elettorale, chiaramente al di sotto del livello di drammaticità della crisi economica e sociale, ha presentato una piattaforma di grande cambiamento. E su questo terreno ha deciso di sfidare prima di tutto il Movimento 5 stelle, resistendo alle provocazioni e alle accuse di subalternità.
Nelle politiche di governo proposte a me pare di intravedere la consapevolezza che bisogna indurire il confronto anche in Europa, portando l’impianto dell’Euro alla prova della verità di fronte a una crisi che si aggrava ogni giorno di più e sta sfilacciando la fibra sociale e morale del nostro Paese. Nonostante le settimane passate credo che questo disegno sia ancora in piedi e abbia la possibilità di passare, di fronte improponibilità del governissimo e alla concreta possibilità di elezioni anticipate, che potrebbero rendere più appetibili le offerte di Bersani per un verso e più evidenti i rischi della intransigenza per l’altro.
Si tratta di una manovra ad alto rischio, che presuppone la disponibilità del nuovo presidente della Repubblica e prima ancora la tenuta della grande maggioranza del Pd, che sola può rendere credibile la minaccia. Bersani si gioca l’osso del collo, ma il Pd è disposto a giocarselo? La rottura aperta da parte di Renzi in questi giorni, il malcontento ai piani alti del partito, i borbottii sempre più rumorosi di quella parte di ex Pci legati alla tradizione della “responsabilità nazionale”, rendono il cammino di Bersani sempre più impervio.
E tuttavia hanno ragione quanti sostengono che qualsiasi altro governo sarebbe peggiore di quello prospettato da Bersani. Infatti qualsiasi governo tecnico, o del presidente, o di scopo, oltre ad aprire praterie davanti a Grillo, sarebbe comunque molto meno deciso sulla manovra economica e paralizzato sui temi sensibili per Berlusconi. Resterebbe solo la giustificazione di una nuova legge elettorale, per liberaci da quella attuale, incostituzionale e destabilizzante per le istituzioni democratiche. A questa ragione che, nel caso fallisse il tentativo di Bersani, potrebbe giustificare una qualche forma di transizione, io vorrei affiancare come altrettanto forte l’esigenza di non rinviare una chiarificazione di fondo sulla natura e le ragioni del Pd. Non c’è dubbio che un passaggio immediato della leadership di Renzi, come una sorta di alternativa naturale e obbligata al fallimento di Bersani, rappresenterebbe un blocco forse insuperabile per quella chiarificazione e per quella evoluzione socialdemocratica del Pd di cui molti di noi hanno visto le premesse, sia pur timide e contraddittorie, nella gestione di Bersani e nella maggioranza che si costituita attorno a lui. Il Pd è in una situazione di tensione drammatica. C’è il rischio concreto che alla massima espansione della sua rappresentanza elettorale segua una rottura traumatica o il precipitare in uno stato confusionale e paralizzante. Per questo si deve auspicare un congresso vero che sciolga alcuni nodi ineludibili, come quelli proposti da Vendola nel momento in cui ha dichiarato la disponibilità si Sel a partecipare al rimescolamento delle carte a sinistra. Mi permetto di indicare quattro questioni.
in primis l’adesione al Pse, che dovrebbe essere agevolata dalla scadenza del 2014 delle elezioni europee con un candidato unico dei socialisti europei per la guida della Commissione Ue. Il valore simbolico di questa scelta dovrebbe essere rafforzato da una netta presa di distanza dalla cultura liberista, che in modo più o meno evidente ha influenzato la politica del Pd e prima ancora dell’Ulivo, attraverso il richiamo a Blair, a Schroeder e alla terza Via. Andrebbe approfondito anche il concetto di “centralità del lavoro” cui più volte i dirigenti del Pd si sono richiamati negli ultimi anni. Si deve decidere se si tratta solo di una vaga e apprezzabile istanza morale, o invece di u recupero dei concreti rapporti sociali e di classe, non certo dissolti, per quanto trasformati dalla fine del fordismo. È dunque prendere atto, come ha scritto Carlo Galli in un recente libro, che “ciò che decisivo sono i rapporti di potere tra capitale e lavoro”. Infine dovrebbe essere chiaro il modello di partito prescelto, basato su meccanismo democratici sotto il controllo degli iscritti.
Se questi elementi fossero posti con chiarezza nel congresso del Pd e risultassero vincenti, se ci fosse anche il supporto di Sel, credo che avremmo finalmente trovato quel baricentro attorno a cui riorganizzare la sinistra italiana secondo gli auspici che il nostro Network per il Socialismo Europeo ha sempre espresso.
Tratto da L’Unità del 10/4/2013