Blocchi ai caselli, scontri, distributori di benzina e negozi alimentari assaltati. L’immagine dell’Italia di questi giorni è quella di un paese paralizzato e in preda alla psicosi collettiva, vittima di una protesta senza politica che invece di unire inasprisce i contrasti tra categorie sociali. Di fronte a questa crisi, almeno all’apparenza inaspettata, si sprecano analisi e discussioni che vedono in infiltrazioni mafiose o in sinistri neo fascismi i manovratori più o meno occulti di questa violenta protesta che dalla Sicilia si sta diffondendo in tutto il paese. Davanti a questa realtà probabilmente le istituzioni democratiche, i mass media e la classe dirigente dovrebbero concentrarsi non tanto sul “chi” c’è dietro la protesta quanto sul “cosa” c’è dietro la protesta violenta e scomposta degli autotrasportatori. Ma forse basta una sola frase per darci una misura di quello che sta accadendo. In una riunione a Palazzo d’Orleans, sede del governo regionale siciliano, il leader dei movimento dei forconi, Mariano Ferro, ha dichiarato “Non ci fermano, la politica faccia la sua parte oppure vadano tutti a casa”. In questa semplice e lapidaria affermazione c’è tutto. Ci sono anni e anni di rabbia accumulata nei confronti della politica e di una realtà che sembra impossibile da cambiare e soprattutto c’è l’anima di un paese fatto di corporazioni e fazioni che in nome dei propri interessi non esitano a minacciare di sfasciare una nazione intera.
Basta fare un giro in un qualsiasi mercato, e se sì è più tecnologici su un social forum, per rendersi conto di come la commistione tra un’ antipolitica feroce e brutale e inattaccabili interessi corporativi stia producendo una pericolosa miscela esplosiva per la vita democratica. Sicuramente se qualche istituto statistico facesse una ricerca scoprirebbe che la frase più ripetuta dagli italiani, di qualsiasi livello d’istruzione e di qualsiasi fascia d’età, è che “i politici guadagnano quindicimila euro al mese mentre i cittadini normali sono costretti a fare i salti mortali per arrivare a fine mese e solo una rivoluzione può finalmente cambiare le cose”. Sempre lo stesso istituto statistico rivelerebbe anche che ogni categoria considera con favore le liberalizzazioni a patto che tocchino gli interessi altrui. Insomma un paese dove gli avvocati sono contro i farmacisti, i farmacisti considerano i tassisti dei lobbisti, i tassisti definiscono i commerciati e i liberi professionisti evasori, i commercianti invidiano gli impiegati e questi ultimi a loro volta detestano i privilegi dei pensionati. Che cosa accomuna tutti questi corpi sociali pronti a sbranarsi tra di loro? Lo Stato e le sue istituzioni? No, semplicemente l’odio feroce verso i politici.
In questi giorni su molti giornali sono stati fatti scomodi paragoni con il Cile di Pinochet e il fascismo. Certamente durante il ventennio, così come durante la dittatura cilena, i poteri forti appoggiavano il regime, non c’era l’Onu né l’Europa unita e soprattutto l’economia non era globalizzata. Tuttavia, se alla prova dei fatti i paragoni con i regimi dittatoriali non reggono, grosse analogie si possono riscontrare con quegli anni che portarono alla nascita del fascismo. Innanzitutto, ora come allora, i partiti tradizionali sono allo stato terminale e le élites sono totalmente incapaci di mediare tra gli interessi dei vari corpi sociali. Ma soprattutto nel 2012 così come nel 1919, la crisi economica ha scaricato disoccupazione, sconforto e miseria sui settori più deboli della società. Per di più il crollo dei consumi, l’incertezza del futuro e l’attacco agli interessi corporativi, spinge nuovamente i ceti medi a volgere lo sguardo verso soluzioni anti sistemiche. Ovviamente la storia non si ripete mai allo stesso modo, ma attenzione ad affibbiare l’etichetta di “brutti, sporchi e cattivi” a chi protesta, pensando che prima o poi si calmeranno. Lo hanno fatto nel 1919 molti intellettuali e la storia ci ha mostrato come è andata a finire. Nella triste situazione di un paese che rischia di sprofondare in tanti piccoli focali di rivolta che non hanno nulla di edificante o di utile per il paese, il governo dei professori non può giocare con il tempo, non si possono chiedere all’infinito sacrifici andando dritti per la propria strada con la spocchia di chi è abituato ad insegnare agli studenti. Di fronte a riforme ineludibili come quella dei costi della politica e della legge elettorale, il governo non può voltare il capo dall’altra parte. Per rimettere in moto l’Italia non può bastare la meticolosità e il rigore del curatore fallimentare, ma serve innanzitutto distribuire i sacrifici su tutti e cercare di recuperare quella coesione sociale fondamentale e indispensabile per ogni democrazia per evitare di ripetere l’esperienza del 1922 quando il governo di allora assistette inerte allo sfascio del paese che portò alle nefaste conseguenze che tutti conosciamo.
Altri blogger - La rete è grande e piena di spunti di riflessione e analisi interessanti di autori indipendenti da La Prima Pietra.
Ecco, Altri Blogger è proprio il nostro contributo alla diffusione dei loro articoli!