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20 Dic 2011

Dalla tv al web così il Cavaliere rincorre facebook

di Fernando Liuzzi e Vittorio Liuzzi

dal Riformista – Le Ragioni del 18-12-2011

Nei giorni convulsi che hanno visto l’uscita di Berlusconi da Palazzo Chigi, ha fatto capolino una notizia che appare degna di qualche riflessione. Il Cavaliere, non più occupato, per così dire, dal suo ruolo di Capo del Governo, intenderebbe dedicare parte delle sue energie alla fondazione di una web tv, domiciliata al pianterreno di Palazzo Grazioli. Il responsabile internet del Pdl, Antonio Palmieri, ha dichiarato che non si tratterà di una vera e propria televisione, ma di uno sviluppo del sito internet del Partito, volto a programmare anche delle dirette in streaming.
Di web tv, si dirà, ne esistono già tante. Inoltre, le testate della galassia Mediaset hanno già, ovviamente, i loro siti internet. Tuttavia, qui ci troveremmo davanti a un fatto nuovo: l’incontro diretto tra il Cavaliere e il web. Un incontro che, a quanto si sa, non era fin qui ancora avvenuto.
In genere, si pensa a Berlusconi come a un uomo di televisione. Ma questo è vero solo in parte. Infatti, la cosa veramente importante che il Cavaliere ha fatto nella sua vita è stata quella di aver importato in Italia il modello della televisione commerciale. Un’espressione, questa, in cui l’aggettivo commerciale ha più peso del sostantivo televisione. Per far funzionare questo modello, bisogna essere capaci di trasmettere dei programmi tanto interessanti da convocare e trattenere davanti agli apparecchi televisivi milioni di telespettatori. E poi, quando si è riusciti a farli stare lì assiepati davanti al piccolo schermo, si arriva allo scopo vero di tutta la faccenda: mandare in onda la pubblicità.
La televisione commerciale è quindi relativamente indifferente rispetto ai contenuti dei singoli programmi. L’unico comandamento è che ottengano buoni indici di ascolto. Avendo dati credibili relativi a tali indici, il proprietario di una televisione può convincere i potenziali inserzionisti che spenderanno bene i loro soldi se acquisteranno spazi pubblicitari collocati nell’ambito di un dato programma. Dopo di che, ciò che conta è il messaggio lanciato dagli inserzionisti ai potenziali consumatori dei loro prodotti. Questo è il vero contenuto. Il cuore dell’impero berlusconiano non è quindi mai stato nella Fininvest, poi Mediaset, né in Forza Italia, e succedanei, ma in Publitalia.
Ora il meno che si possa dire è che, di fronte al prepotente avvento del sire di Arcore, la Rai non è riuscita a difendere il suo modello originario. Quello di una televisione pubblica, e perciò informativa e pedagogica, volta ad accompagnare la crescita culturale della società italiana lungo gli anni del suo sviluppo industriale.
La Rai si è arresa ed ha finito per assumere, sostanzialmente, il modello della televisione commerciale. Si è costituito quindi un oligopolio la cui egemonia è andata, quasi naturalmente, a chi aveva avuto la forza di imporre un business model che ha finito per diventare anche un modello culturale e politico. Lo share è diventato l’unico metro di giudizio qualitativo. Tutto, dalla politica allo sport passando per la cronaca, è stato spettacolarizzato. E il Parlamento è stato svuotato a vantaggio della nuova centralità assunta dai talk show nominalmente dedicati all’informazione politica e sociale.
L’attenzione di molti si è concentrata sul fatto che, negli anni passati a Palazzo Chigi, Berlusconi abbia dato sfogo alla propria indole autoritaria scagliando le sue invettive contro Enzo Biagi e altri che hanno tentato di fare, pur sotto il suo regno, una televisione di qualità. Ma la vera battaglia condotta dal Cavaliere, in questi anni di declino industriale e di regressione culturale, è stata un’altra, meno visibile ma non meno determinata. Quella contro la Rete, a partire dal mancato sviluppo dell’infrastruttura che la rende efficace: la banda larga. Negli anni scorsi, ciò che ha verosimilmente impensierito gli uomini del Biscione, e quindi i governi a guida berlusconiana, non è stata tanto, infatti, l’attività di blogger eventualmente schierati su posizione avverse al centrodestra, quanto il timore che anche in Italia potesse verificarsi quel fenomeno che negli Stati uniti, come in altri paesi sviluppati, è ormai in fase avanzata. Il calo delle risorse finanziarie investite in pubblicità sulla carta stampata e sul piccolo schermo, e la parallela crescita di quelle convogliate su internet.
Ora qui bisogna capirsi. In vent’anni di vita, internet ha già una sua storia interna. E questo vale anche per il possibile utilizzo del web come veicolo di rapporti fra produttori e consumatori. Inizialmente, gli inserzionisti hanno cominciato a usare le pagine elettroniche come spazio su cui pubblicare i propri annunci. E così come prima venivano preferiti i programmi televisivi più seguiti, ci si è dati da fare per collocare tali annunci sulle pagine più cliccate di internet.
Ma l’evoluzione della Rete, a partire dalla sua acquisita interattività, ha determinato una nuova rivoluzione. Non si tratta più solo di fare pubblicità, ma di ripensare il marketing.
Negli ultimi anni si è così avviato uno spostamento dei budget di marketing dai metodi tradizionali a quelli dell’online. A far la parte del leone nell’online sono, oggi, il Seo (Search Engine Optimization) e i social media. Il Seo (ottimizzazione dei motori di ricerca) è l’attività indirizzata a far aumentare i visitatori di un sito web. Con quale metodo? Creando una continua serie di rimbalzi da un canale internet a un altro: blog e social media in particolare. Insomma, diffondendo a pioggia i propri contenuti nei luoghi più visibili della rete. È così nato l’inbound marketing – marketing in entrata – in cui sono gli utenti che vanno alla ricerca di marche e prodotti. Ricerca che viene soddisfatta dalla marca con contenuti sviluppati in proprio e in proprio diffusi. È il rovesciamento del paradigma del marketing così come lo abbiamo conosciuto fin dalla nascita di questa disciplina.
L’agenzia canadese 6marketing ha raccolto da numerose fonti e diffuso una quantità di dati sugli sviluppi mondiali di questo fenomeno. Nel 2011, il 54% degli operatori di marketing americani ha aumentato il proprio budget dedicato all’inbound. Mentre gli investimenti online crescono del 20%, il 41% delle imprese dichiara di voler ridurre gli investimenti pubblicitari nella stampa. Il 64% dichiara che aumenterà gli investimenti nei social media e nei blog aziendali, ancora il 64% che farà crescere il budget dedicato al Seo. Il 70% dedicherà più investimenti a social media esterni all’impresa come Facebook. In generale, il 28% delle organizzazioni dichiara che sta spostando il proprio budget di marketing sui canali digitali. Verso questi canali, nel 2011, è stato indirizzato il 24% degli investimenti nel marketing.
L’avvento di questo nuovo mondo, delle sue tecniche, e la crescita esponenziale dei social media (Facebook ha oggi 800 milioni di iscritti, 20 milioni dei quali in Italia), dettano nuovi parametri per la confezione di strategie pubblicitarie penetranti quanto economiche. Insomma, Mark Zuckerberg e gli altri ragazzi della Rete rischiano di far implodere l’universo berlusconiano.
È in questo contesto che si situa la notizia da cui siamo partiti. Forse Berlusconi, anche se un po’ in ritardo, vuole solo aggiungere un’altra arma al suo arsenale comunicativo in vista della campagna elettorale prossima ventura. Una tesi, questa, che potrebbe essere avvalorata da quanto dichiarato dallo stesso Berlusconi a Verona dove, ospite di Giovanardi, ha affermato che il Pdl deve usare internet per arrivare “ovunque”. Ma può anche darsi che il Cavaliere tema che il governo dei Professori faccia finalmente qualcosa per cominciare a ridurre di fatto, e non solo a parole, il digital divide che penalizza il nostro Paese la cui persistenza è stata segnalata anche dall’ulitmo rapporto Censis. In questa seconda ipotesi, l’annunciata web tv di Palazzo Grazioli potrebbe essere il sintomo del fatto che, anche nel gran mondo dei media, Berlusconi non ha più la guida del cambiamento, ma è costretto a rincorrere processi innovativi guidati da altri.

Scritto da

Redazione LPP

- Redazione de La Prima Pietra