E alla fine arriva Prodi?
Diciamoci la verità nessuno ci capisce più qualcosa. Dopo che per intere giornate, fini analisti, filosofi, politologi e comuni cittadini si sono divisi e spaccati sul nome di Franco Marini, alla fine siamo al punto di partenza: non riusciamo a capire chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica.
Col fiato sospeso, come se stessimo assistendo ad un appassionante telefilm e non a una cosa tremendamente seria, siamo tutti in attesa di capire che sorprese ci riserveranno gli sceneggiatori/ dirigenti del Pd. E già perché sin dall’inizio l’elezione del capo dello stato ha avuto dei contorni a tal punto surreali da apparire il frutto della fantasia degli autori di Lost. Dopo che per alcune settimane Bersani ha rifiutato con sdegno ogni possibile governissimo con il Cavaliere e dopo aver inutilmente corteggiato i cinque stelle, il partito democratico si è presentato con un nome, quello di Franco Marini, pare scelto da Berlusconi in persona. Una mossa inspiegabile, fuori da ogni logica che ha giustamente scatenato lo sdegno e l’incredulità della base. Ma come, dopo aver proclamato ai quattro venti la necessità del cambiamento si sceglie proprio Marini, per carità persona rispettabilissima, che però è un simbolo vivente della “vecchia politica”? E perché rafforzare sia Grillo che Berlusconi facendosi imporre un nome sgradito al proprio elettorato?
Queste pressanti e inspiegabili domande sono state alla base del procedimento logico che ha portato molti analisti e addetti ai lavori a giungere ad una sola conclusione: Bersani è impazzito per il troppo stress.
Eppure questa possibilità, che non ci sentiamo assolutamente di escludere, ha qualche cosa di troppo semplicistico. A parte il fatto che pur ammettendo che Bersani sia cotto come il personaggio imitato da Crozza, nel Pd ci sono personalità che tutto sono tranne che svampiti dilettanti della politica. Possibile che nessuno sia riuscito a far ragionare il segretario?
La seconda cosa che non torna è il fatto che, pur non essendo stato eletto al primo turno, Marini ha preso 521 voti, quanti ne bastano per essere eletti al quarto scrutinio. A questo punto se veramente i vertici del Pd avevano stretto un patto di ferro con Berlusconi che prevedeva anche un governo di larghe intese, non si capisce perché hanno gettato la spugna già alla seconda votazione. Forse, come sostengono i giovani democratici, il merito è loro che hanno occupato federazioni e manifestato in piazza. Ma anche questa ci sembra una spiegazione poco convincente: sarebbe veramente la prima volta nella storia che gente come D’Alema, Bersani e Veltroni si fanno dettare la linea dai militanti.
La terza cosa che non torna è stata la celerità con cui il Pd sembra aver virato in queste ore su Romano Prodi, il nome che più di tutti è sgradito al Cavaliere. Se infatti si voleva cercare le larghe intese perché puntare sul nemico numero uno del PDL e non cercare di trovare un nome inserito nella famosa rosa dei nomi come ad esempio Mattarella?
Si fa strada sempre di più un’ipotesi inquietante: vuoi vedere che Bersani ha tirato un brutto scherzo a tutti, Berlusconi, Grillo, Sel ed elettori del Pd compresi? Comportandosi un po’ come il celebre conte Mascetti di “Amici miei”, tornato di moda grazie ad un genio che lo ha votato come presidente, ha talmente riempito di chiacchiere tutti da non farci capire più niente. In questo senso Marini è un po’ come la famosa supercazzola. Proponendo un nome gradito al centro destra, Bersani ha dimostrato di essere un dirigente responsabile che vuole cercare la massima condivisione possibile e ha portato tutti, Lega compresa, ad esporsi in prima battuta. Poi, di fronte all’impossibilità di eleggere Marini a causa della spaccatura nel partito e della ribellione della base, non poteva fare altro che proporre Romano Prodi, guardo caso proprio colui che per anni è stato l’ultimo leader riconosciuto del centro sinistra, che infatti è stato acclamato addirittura con una standing ovation nella direzione del partito.
Una candidatura che ha il merito di sparigliare decisamente le carte anche all’interno dei cinque stelle. Prodi è infatti arrivato ottavo alle “Quirinarie” e quindi i parlamentari penta stellati sono tenuti dal loro “non statuto” prima o poi a votarlo. Tecnicamente dopo Rodotà, dovrebbero votare il quarto poi il quinto e così via. Ma a questo punto che senso avrebbe arrivare all’ottava elezione quando comunque primo o poi bisognerebbe votarlo?
Ovviamente potremmo trovarci di fronte ad incredibile botta di fortuna, ma, comunque sia, il Pd ha fatto scacco matto: incassare per i prossimi sette anni un presidente che è una delle massime espressioni del partito, costringere Grillo a votarlo e Berlusconi a ingoiare un calice amaro . Certo, a parte una probabile vittoria, Bersani e i suoi hanno dimostrato di ignorare i desideri dei propri elettori, hanno dato l’idea di un partito sbiadito e sono arrivati veramente vicinissimi al punto di rottura. Però, infondo, da sempre una delle massime preferite dai dirigenti democratici è che “il fine giustifica i mezzi”.