Come un errore ha cambiato il mondo
Un errore in un file excel ha portato a politiche restrittive
E difficile credere che un semplice articolo scientifico abbia potuto determinare le scelte di politica economica di molti paesi, ma sono certo che lo studio, intitolato Growth in a time of debt, pubblicato nel 2010 sulla prestigiosa American Economic Review, di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff (R-R), sia stato utilizzato da molti come sostegno propagandistico.
La tesi di R-R nel paper citato sostiene l’esistenza di una correlazione tra rapporto debito/PIL maggiore del 90% fosse e bassa crescita. Tale conclusione si allineava con la tesi, affermatasi negli anni ’90, dell’austerità espansiva secondo cui i consolidamenti fiscali volti alla stabilizzaione/riduzione del rapporto debito/Pil e realizzati cono tagli alla spesa pubblica possano stimolare i consumi e gli investimenti privati. Un approccio che viene definito “non keynesiano” si basa sul ruolo delle aspettative, cioè i tagli della spesa vengono percepiti come segnali di un futuro abbassamento delle tasse, quindi i consumatori si aspettano un incremento del reddito permanente (reddito futuro atteso) e per tale motivo sono disposti ad aumentare i consumi correnti.
Lo stesso Olli Rehn, Vice presidente della Commissione Europea, in una lettera indirizzata ai Ministri economici e finanziari della UE, al FMI e alla BCE, scriveva: “È largamente riconosciuto, sulla base di una seria ricerca accademica, che quando i livelli del debito pubblico superano il 90%, tendono ad avere un impatto negativo sull’andamento dell’economia, che si traduce in bassa crescita per molti anni”
Peccato che tutto questo non sia avvenuto: nel 2009 paesi come Grecia, Portogallo, Spagna ed Italia sono entrati in una forte recessione che è stata affrontata con tagli ed inasprimenti fiscali con l’obiettivo di ridurre i disavanzi e ricondurre il rapporto debito/Pil su un sentiero di sostenibilità.
Ampliando l’analisi a 20 paesi di cui 13 nella zona euro si evidenzia in figura 1 che le ampie restrizioni fiscali sono state accompagnate da significative cadute del prodotto.
Quindi ciò che la teoria dell’ austerità espansiva neanche l’ombra, cioè non si sono verificati gli effetti espansivi né sui consumi né sugli investimenti. Lo stesso FMI evidenziava in un suo studio del 2013 che i moltiplicatori fiscali durante la recessione siano stati maggiori di quelli stimati per il periodo pre-crisi, cioè si sono accorti che l’austerità è recessiva. Ma già nel 2010, in uno studio del FMI, si poteva leggere: “L’idea che l’austerità fiscale possa stimolare la crescita nel breve periodo trova poca conferma nei dati. I consolidamenti fiscali, tipicamente, hanno effetti recessivi nel breve termine sull’attività economica, portando a minore output e maggiore disoccupazione”.
Lo studio Growth in a time of debt è stato smentito da uno studente di dottorato dell’Università del Massachusetts Amherst che, utilizzando i dati di Reinahrt e Rogoff per un’esercitazione, si è accorto che qualcosa non quadrava nelle stime dei due economisti. Con il supporto di due suoi professori, Michael Ash e Robert Pollin, Herndon ha mostrato come i risultati precedenti fossero erronei, in quanto inficiati da problemi metodologici, omissioni di dati ed errori di calcolo.
Senza entrare troppo nei tecnicismi possiamo dire che i problemi principali individuati sono tre:
1. l’esclusione selettiva di alcune osservazioni nei dati;
2. uno schema di bilanciamento dei dati non convenzionale;
3. un errore di codice nel foglio di calcolo originale utilizzato per selezionare i dati.
Inoltre gli stessi autori sapevano che il risultato da loro esposto non era di tipo causale ma di correlazione il che comporta che lo stesso meccanismo possa essere inverso nel senso che una bassa crescita possa comportare alti rapporti tra il debito ed il PIL.
A posteriori possiamo affermare che lo studio Growth in a time of debt non aveva nulla a che vedere con l’esperienza è l’unica fonte di verità che è sola può insegnarci qualcosa di nuovo, e da sola ci può dare la certezza (Maurice Allais).
Un errore di calcolo che però ha ingenerato effetti negativi sulla vita di molti cittadini europei.