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16 Mar 2013

Fare Rete!

Intervento di Dino Falconio al meeting a Palazzo Serra di Cassano con Gianni Vattimo, Raffaele Cantone, Alfonso Ruffo e altri sul tema “Noi (r)esistiamo: i sto cca!”

“Il titolo di questa manifestazione “I sto cca” mi ha convinto dall’inizio, perché mi ci rispecchio in pieno. Il mio percorso di studi e di lavoro si può dire nato e cresciuto nella mia città. E per mia scelta. Certo ho avuto la fortuna di dedicarmi a una disciplina dove la scuola napoletana è sempre stata leader, poiché nel diritto e nel notariato in particolare l’Università Federico II e la lezione del mitico presidente Capozzi hanno richiamato almeno fino a quindici anni fa allievi da tutto il resto d’Italia. Ma proprio una volta coronato il successo del concorso notarile mi ritrovai in controtendenza con la cosiddetta fuga dei cervelli, in quanto, pur risultando nel vertice della graduatoria, non scelsi le sedi ambite e ricche del nord, che facevano gola alla maggioranza dei miei colleghi, ma optai per un paesello della provincia di Caserta del quale mi era ignota l’esistenza e che avevo difficoltà persino a individuare sulla mappa geografica: Macerata Campania.

intervento falconioDopo tre anni, con un trasferimento record per il punteggio maturato in classifica anche grazie all’insegnamento universitario che praticavo fra Federico II e Suor Orsola, rientrai a Napoli dove da quasi un decennio faccio il notaio senza mantello a ruota, ma a bordo di uno scooter azzurro e con l’ipad in mano. Intanto mi sono sposato e ho avuto tre figli, senza mai smettere di promuovere cocciutamente l’idea dei diritti di cittadinanza attiva. Se dovessi seguire le ragioni della mente, suggerirei a un mio coetaneo dell’epoca di obbedire all’eduardiano “Fujtavenne a Napule”. Ma poiché ho sempre ritenuto che fosse più bello far prevalere le ragioni del cuore, alla domanda se, avendo la possibilità irreale di tornare indietro nel tempo, preferissi ancora restare a Napoli oppure emigrare altrove, risponderei, sebbene con le lacrime agli occhi: “I sto cca!”.

E oggi mi tocca dirvi il perché del voler rimanere e il perché di quelle lacrime. Perché questa terra meravigliosa e sfregiata mi ha dato molto di più quanto io abbia dato a lei: sarebbe una vigliaccheria pensare a salvare il proprio misero particolare e non restituire almeno in termini di tentativo a questa città quella ricchezza morale che mi ha regalato. Peraltro se tutti coloro che si riconoscono in valori universali di cultura, civiltà, legalità, democrazia e meritocrazia abbandonassero il campo gettando la spugna, ci ritroveremmo quel campo popolato solo dai peggiori se non addirittura dai pessimi, pronti a farlo diventare uno scempio.

È un richiamo morale che mi arde dentro, imprimendomi di non lasciare per godere di comode alternative o comunque di situazioni dove non necessita ogni giorno una lotta contro il Potere ufficiale e quello occulto, contro chi non garantisce i tuoi diritti e chi impunemente li calpesta nelle piccole e nelle grandi vicende.Ma mentre quindici anni fa’, quando mi si presentò l’opportunità di andare a mettere radici fuori e lontano dalla mia casa, assunsi la decisione con entusiasmo e con il cuore gonfio di speranza che Napoli potesse risorgere, dal momento che si respirava una straordinaria aria di rinascimento (dopo poco offesa in maniera indecente) oggi invece ripeterei quella scelta ma, come dicevo, con il petto colmo di rabbia fino a lacrimare.

foto falconioIl perché di queste lacrime è il tradimento che abbiamo subito dalla classe dirigente che senza distinzioni di colori politici ha preso letteralmente per i fondelli noi tutti e nulla sa fare di più che continuare a prenderci in giro. A un giovane mio coetaneo dell’epoca direi di gridare anche lui con me ed io con lui: “I sto cca” per ingaggiare un combattimento senza quartiere nel fare rete fra cervelli, persone per bene, energie pulite che, disilluse dalle lusinghe dei vari incantatori di serpenti, si impegnino a pretendere la ricostruzione di questa città e del suo tessuto produttivo, partendo dal più grande patrimonio che essa possiede e cioè dalla cultura, dall’arte e dal paesaggio.

Dobbiamo far valere una voce unanime, alta e forte che reclami di mettere al centro delle politiche dello sviluppo questi tre tesori, ma non in chiave mortuaria e museale fine a se stessa, nella desolazione senza funzioni del fallito Lungomare Liberato o della sempre vuota piazza del Plebiscito.

Nella economia globale l’Italia e Napoli non saranno mai competitive su prodotti che potranno fabbricare a sempre più basso costo i cinesi e gli indiani. Ma questo Paese meraviglioso e questa bellissima e dannata città di Napoli  hanno una materia prima originale e non duplicabile da nessuno, capace di creare prodotti non succedanei e dunque non perdenti rispetto alle industrie delle nuove locomotive economiche mondiali del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina).vattimo-falconio

E queste risorse uniche di arte, cultura e paesaggio non significano soltanto una città di camerieri che servono ai tavolini di bar e ristoranti, non significano soltanto il nebuloso mito del turismo, non significano soltanto bastimenti che attraccano (anziché partire) al porto per volare a Pompei o a Capri saltando a piè pari la Capitale, magari troppo pericolosa per la presenza di macro e micro criminalità.

Arte, cultura e paesaggio significano il volano di un nuovo sviluppo che è fatto di servizi, infrastrutture, logistica, ricettività, filiera agro-alimentare, riqualificazione del territorio, nuove tecnologie, comunicazione, eventi e cioè lavoro sotto casa per tutti i napoletani ingegnosi e volenterosi pronti a ribaltare la leggenda degli sfaticati e nullafacenti. Perché quegli stessi napoletani che qui vengono additati come inefficienti e parassiti, nelle aziende e nelle istituzioni dove lavorano fuori Napoli sono considerati i più capaci ed operosi?

Perché non possiamo avere la prerogativa di immaginare una Pompei multimediale con il ponte ologrammi di Star Treck, perché non possiamo immaginare uno spettacolo stabile da offrire ai visitatori basato sulle nostre musiche e danze famose nel mondo, perché i monumenti davvero unici che abbiamo devono morire di incuria e non essere moderne location di vita, perché non possiamo creare in aree dismesse le città dello sport, perché dobbiamo lasciare le periferie nelle mani della camorra e non riabilitarle con i laboratori culturali dell’innovazione e della ricerca?

A chi vorrà continuare a dire “I sto cca” dico con passione: fallo! Fallo assolutamente! E allora resta, resta cù me, ah resta, Resta cú me! Ma non solo per fare il bravo avvocatino, il bravo giornalistino, il bravo professorino, il bravo architettino, il bravo medichino, ma per lottare insieme nell’intento di rivoluzionare la mentalità del disimpegno pubblico e, per una volta nella storia di questa città, di riscattarsi dal vizio psicologico d’essere dominata, divenendo protagonisti del cambiamento che può avere un solo inizio:
Fare Rete!

 

Scritto da

Dino Falconio

- Socialista, cattolico, scrittore, notaio in Napoli, giornalista pubblicista, Presidente del Comitato Notarile della Regione Campania, docente all’Università Federico II (Scuola di Specializzazione delle Professioni Legali), Presidente della ONLUS Energia del Sorriso, Vicepresidente dell'A.S.J.A. Pontano (sezione napoletana dell'associazione ex alunni dei Padri Gesuiti), Consigliere Segretario del Circolo Canottieri Napoli, fondatore del movimento metropolitano FareRete.

  • Peppe Iannicelli

    Ci vuole una catarsi, un profondo rinnovamento. Per carità non voglio far l’apologio del rogo di Città della Scienza ma in altre città ( penso a Londra dopo l’incendio del “Globe”) il fuoco è servito a favorire la rinascita. Il concetto di purificazione arriva dalla radice greca “pur” cioè fuoco. Ricostruiamola presto e bene ma dall’altro lato della strada liberando la linea di costa alla fruizione ambientale e turistica. Ci vuole coraggio e decisioni tempestive perchè stamm cca, ma vogliamo starci bene per noi ed i nostri figli
    Peppe Iannicelli

  • marina

    Caro Dino,
    condivido le idee, l’impegno e le lacrime. Anche io ho scelto di restare a Napoli e di vivere questa città con tutte le sue difficoltà e contraddizioni, accettando di “ridimensionare” le mie aspettative professionali in ragione dei sentimenti: quello di appartenenza innanzitutto. Mai come in questo momento, però, si avverte con chiarezza la necessità di un cambiamento, che non piò essere solo esterno a noi, ma che ci riguarda profondamente, ci costringe a mettereci in gioco e rappresentare con maggiore forza quello che siamo: la classe tecnica di questa città. Una classe tecnica competente, nota a livello internazionale, che mai ha voluto “sporcarsi le mani” con la politica. Mi piace perciò che tu parli di fare rete. E’ un concetto diverso, legato più alla generosità del dare che non all’opportunità di prendere. Lascia il modo di scegliere, di decidere, di sentirsi parte di un processo senza esserne travolti.

  • lucio trifiletti

    Mio caro Dino,
    ho letto come sempre con piacere il tuo messaggio e mi fa piacere contribuire all’analisi che fai in quanto, al di la dei mie intemperanze, anche io sto cca….

    Malgrado la mia diversa provenienza, mi sono radicato in questo ambiente e per riconoscenza ho combattuto diverse battaglie civiche di cui solo mia moglie, immagino, ricorda i dettagli …nel mio piccolo continuo professionalmente in un impegno, meno esplicito del tuo, che è radicato su questo territorio malgrado le difficoltà che sai esistono.

    L’unico spunto di riflessione critica che ti faccio e che oggi il mondo è cambiato e si modifica ad un ritmo non paragonabile rispetto ai secoli scorsi..

    Ho il dubbio che oggi per rimanere qui e contribuire allo sviluppo di questo Paese si debba vivere anche dove l’economia oggi emerge e comprenderne le nuove logiche e dinamiche….non prendere parte a questo “gioco” non consente più attraverso uno studio, un approfondimento, un corso, di comprendere a fondo il nuovo mondo che avanza …

    D’altronde oggi essere altrove non assume più le logiche dell’emigrazione anzi vuol dire esportare il ns. “modello” in contesti emergenti che hanno “fame” di “sviluppo”, sviluppo che può essere orientato a seconda di chi lo “guida”…inoltre le interconnessioni fisiche ed immateriali, oltre la “globalizzazione” facilitano questo processo e gli altri paesi hanno colto opportunità e le sfide …

    non voglio entrare nella diatriba di valore su questo “nuovo” che avanza….penso che io e te la pensiamo analogamente …

    Quello che è certo e che se vogliamo che questo Territorio, con tutte le sue preesistenze e storie, possa domani “sopravvivere” nella violenta dinamica di sviluppo che contraddistingue questi tempi, non dobbiamo chiuderci ma fare di tutto per renderlo “attrattivo” ponendolo in competizione con altri più affini al ns., secondo le logiche che i modelli di mercato comprendono, sperando di essere guidati da una classe dirigente capace di leggere questa sfida, ormai globale!

    Lo so che il tuo messaggio non era per la chiusura, ma spero di aver contribuito ulteriormente al percorso di riflessione che avevi stimolato

    lucio

  • Gigi Ariemma

    Caro Dino se dovessi scivere un articolo su ciò che penso di Napoli lo avrei scritto negli stessi termini.Condivido ogni parola e mi entusiasma molto l’iniziativa del FARE RETE alla quale voglio partecipare attivamente.Le idee sono tante le difficoltà ancora di più,ma l’amore per questa NOSTRA città che ha animato tante discussioni nei nostri incontri, è fortissimo, le risorse non sfruttate sono uniche al mondo occorre solo FARE RETE.
    Gigi Ariemma