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29 Apr 2013

Il gioco dello sciacallo

Rabbia, solidarietà, violenza, paura. Basta leggere i commenti sui siti dei principali quotidiani per avere una misura del terribile stato d’animo degli italiani. Neanche si sapeva chi fosse l’uomo che aveva sparato ai due carabinieri di fronte a Palazzo Chigi e già il web si spaccava tra chi santificava Luigi Preiti e chi esprimeva solidarietà ai feriti. Quello che più stupisce leggendo i commenti sparsi è che quasi nessuno sia più disposto a cercare di capire o a soffermarsi ad analizzare una violenza che rischia di travolgere tutto e tutti. Nascosti e al sicuro dietro la tastiera dei proprio pc, alcuni vomitano rabbia, pronti a dare ascolto soltanto a chi rafforza le loro idee. Chiusi in un fanatismo senza confini, che sembra più quello degli ultras da stadio che dei militanti politici, non ammettono né discussioni né mezze misure. O la pensi come me, e quindi sei un giusto, o sei un nemico da disprezzare e da eliminare. A giudicare dai siti internet gli italiani sembrano pronti alla guerra civile. L’unica salvezza è che i rivoluzionari e i violenti da tastiera sperano che qualcuno uccida per loro, che versi a fiumi il sangue del nemico, come dimostrano i gruppi facebook che inneggiano a Preiti 

Di fronte a questo spaccato dell’Italia divisa, non ha alcun senso addossare la colpa di un gesto criminale a Beppe Grillo né tanto meno giustificare tutto con la sola responsabilità dei politici. Questo malessere profondo non è altro che la spia di una violenza che si respira giorno per giorno di cui tutti dovremmo sentirci responsabili. È il frutto avvelenato dei media che martellano incessanti, della morbosa spettacolarizzazione della violenza, dei talk show, della politica trasformatasi in tifo da stadio, dell’arroganza dei vecchi politici e del fanatismo di quelli nuovi, della polemica continua e strumentale e dell’esibizionismo sfrenato prodotto dalla televisione.
Del resto basta fare un giro sui forum o su facebook per rendersi conto che la politica non è che uno dei tanti campi su cui gli italiani riversano la loro sete di odio. Se provate a leggere i commenti su di un sito come il Corriere dello Sport, vi accorgerete che quasi mai si parla di calcio. La stragrande maggioranza degli interventi sono minacce di morte, insulti, offese razziali contro chi si macchia della colpa infamante di tifare un’ altra squadra.


Luigi Preiti non è il prodotto di cattivi maestri né un nuovo Gaetano Bresci che lotta contro le ingiustizie. È il prodotto di una società malata che tutti abbiamo contribuito a creare, un assassino come tanti, che se non avesse deciso di compiere un gesto davanti a Palazzo Chigi, probabilmente avrebbe rivolto la sua violenza verso la ex moglie, un ex collega o qualcun altro
. Come tutti i violenti del Bel Paese è descritto da amici e conoscenti come una persona riservata, perbene, un gran lavoratore, un mite. A guidarlo non sono stati né grandi ideali né una particolare ingiustizia subita. È la banalità del male. Un uomo come tanti che, come da lui stesso ammesso davanti ai Pm, era ossessionato dai soldi e dalla bella vita, che ha perso tutto a causa del vizio del gioco, che frequenta bische clandestine e che conosce “le persone giuste” capaci di fornirgli una pistola con la matricola abrasa. Del resto anche tutti quelli che su internet hanno giustificato Preiti, forse senza neanche accorgersene, hanno usato le stesse frasi dette da tutti i fanatici e razzisti di ogni epoca, compresi quelli che difesero la strage di Oslo. La colpa del ferimento dei due carabinieri è stata attribuita “a quelli che hanno portato il Paese a questa condizione di disagio sociale” così come, per i giornalisti anti islam  tipo  Magdi Allam,  la mano di  Breivik  fu armata “dal multiculturalismo che crea razzismo”.  Ovviamente esistono molte differenze tra i due assassini e tra i loro sostenitori. Ma una cosa li accomuna tutti: sentirsi dei buoni e nel contempo giustificare la violenza. Del resto nella storia non è mai esistito nessun assassino che non abbia elevato le proprie azioni  con mille nobili motivi. Come dicevano i nazisti Gott mit uns, Dio è con noi.

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