Il PD e la traversata verso la terza repubblica.
Il risultato delle ultime elezioni politiche ha sancito definitivamente la fine della seconda repubblica e l’avvio di un’incerta e probabilmente incompiuta transizione verso la terza.
La mancata vittoria del Partito Democratico, che è riuscito in pochi mesi a polverizzare il vantaggio acquisito dopo il fallimento dell’esperienza di governo del PDL e la breve parentesi del Governo Monti, la formidabile rimonta di Berlusconi e l’inaspettato-almeno nelle dimensioni- consenso dei grillini, ci ha consegnato un’ Italia divisa in tre, segnando definitivamente la fine di un bipolarismo coatto che, nell’ultimo ventennio, ha paralizzato e ingessato il governo del Paese.
La rielezione di Napolitano al Colle è l’ennesima dimostrazione dello stallo della politica italiana e, al netto di ogni considerazione dettata da ideologismi di sorta, l’unica soluzione possibile per evitare una deriva massimalista che il consenso grillino rischiava di determinare.
La nascita del governo Letta, tuttavia, ci impone una serie di considerazioni.
E’ stato chiaro a tutti, all’indomani dell’inatteso risultato elettorale, che l’unico governo possibile fosse un governo di scopo sostenuto dalle tre maggiori forze (Pd, PDL e Scelta Civica), considerando la natura antisistemica del movimento cinque stelle , la cui ragione sociale è ovviamente incompatibile con qualsiasi ipotesi di impegno diretto nell’esecutivo.
Il ritardo di Bersani nell’individuare l’unica soluzione possibile e l’inspiegabile pervicacia nell’inseguire oltre ogni limite un improbabile dialogo con la ditta Grillo-Casaleggio, che forse nascondeva la speranza di riproporre-vista l’impossibilità di un accordo organico- il metodo Grasso-Boldrini, è costato all’ormai ex Segretario dei Democratici la definitiva imlposione del partito e l’accordo al ribasso con il PDL, con la sua conseguente uscita di scena a vantaggio dell’ex democristiano Enrico Letta.
Sbaglia, e di grosso, chi considera Letta una meteora di questa fase politica. Letta incarna perfettamente la tipologia del politico destinato a restare a lungo sulla scena. E’ giovane, politicamente attrezzato, scaltro quanto basta, tutt’altro che ingenuo, e soprattutto ha rappresentato e rappresenta in questa fase un formidabile fattore di pacificazione politica, dopo un ventennio di guerra civile.
Eppure, guardando al Governo neo costituito, saltano all’occhio due elementi preoccupanti: la assoluta marginalità della presenza socialista, laica e socialdemocratica-eccezion fatta per l’immarcescibile Bonino e per il giovane quanto inconsistente Orlando- e l’ennesima espulsione della classe dirigente meridionale da ruoli di responsabilità.
A questo punto occorre chiedersi cosa resta, dopo la Caporetto elettorale, del PD, che si avvia ad un congresso di cui è difficile immaginare modalità di svolgimento e sviluppi successivi.
Intanto, la scelta di Napolitano di incaricare Letta e non Amato è stata da parte del Presidente l’ennesima scialuppa di salvataggio lanciata ai Democratici. Probabilmente, l’ultima.
Ma le lotte intestine, la balcanizzazione del partito, la progressiva perdita di credibilità, il fallimento delle diverse leadership messe in campo negli anni, raccontano di una sconfitta definitiva che nasce dalla debolezza di un progetto politico perdente. La scelta di Prodi, D’Alema e Veltroni( a diverso titolo e con diverse responsabilità) di dar vita al Partito Democratico è nata, a suo tempo, dalla presa d’atto della impossibilità, per l’allora DS, di essere forza di governo del Paese. Una alchimia fatta a tavolino che non ha mai acceso passioni ed entusiasmi perché nata in provetta e priva di un substrato ideologico e identitario.
Nessuno, in Italia come in Europa, può dire di sentirsi “democratico”. Ci sentiamo socialisti o popolari, progressisti o conservatori. E la mancanza di un fattore identitario, che rappresenta un prius, segna, prima o poi, inesorabilmente, il fallimento di qualsiasi progetto politico.
Purtroppo non credo che il prossimo congresso sia in grado di affrontare questi temi, perché si tratterebbe di prendere atto di una crisi non congiunturale ma strutturale. Probabilmente sarà un congresso unitario, perché l’estrema debolezza del PD e la sua frantumazione interna rende impossibile, paradossalmente, una scissione che potrebbe persino risultare salutare.
Nel frattempo, bisogna augurarsi che il Governo Letta sia in grado di dare quelle risposte che il Paese si aspetta, riformando significativamente il funzionamento delle istituzioni italiane.
Buona traversata a tutti.