Il senso della sfida per il congresso PD
Sta entrando nel vivo la sfida per il congresso del Pd l’8 dicembre, e l’idea di partito che i due candidati più accreditati, Renzi e Cuperlo, propongono, comincia ad avere contorni sempre più precisi. Idea importante perché traduce nella forma accreditati partito l’idea di politica e di partecipazione politica che essi hanno in mente, e che evidentemente da segretari promuoveranno. Questo profilo di partito è già leggibile in due dichiarazioni programmatiche. «Nel mio Pd sindaci, circoli, eletti», Renzi. «La nostra sfida è sul modello di società», Cuperlo. Al netto della battuta sul partito “pensante” come soluzione alla diatriba partito leggero/partito pesante, è chiaro che Renzi ha in mente fondamentalmente un partito ancorato alla rappresentanza costituita nelle istituzioni, amministratori ed eletti, di cui i circoli possano essere i luoghi di selezione. Un partito degli eletti che, dalle sue radici nell’apparato amministrativo, ricada come un potos sulla società, e che da lì provi a leggerla e governarla; in buona sostanza un cartello elettorale (uso il termine analiticamente, senza alcuna spregiatura) diffuso, cucito con accortezza su territori, sintetizzato a partito nel leader, che si propone come macchina di governo. Cuperlo più classicamente propone un partito come lettura rinnovata di un modello sociale solidale ai valori delle tradizioni politiche fondative del Pd, da proporre al Paese; un partito che dalle società, per la forza di spinta delle radici che sa mettervi, sia capace di salire al governo. Il primo modello di partito ha bisogno innanzi tutto di un leader, di un chiodo a cui appendere il quadro del partito, sempre che la sua cornice prenda consistenza e si incolli nella vittoria nelle urne. Il secondo partito ha bisogno che la tela costruita con pazienza della rappresentanza sociale, che è non solo il pur spesso filo della rappresentanza elettorale, tenga; abbia un valore “pittorico” intrinseco della società espressa, e non si riduca alla “firma” pro tempore apposta sul quadro da piazzare sul mercato elettorale. Il pregio del primo partito è che se hai una buona finestra elettorale puoi pensare di batterlo all’asta con il massimo ricavo a fronte dell’attuale difficoltà della politica a costruire la rappresentanza e a dare un senso alla delega. Ti esoneri un po’ dalla fatica della politica. I limiti non sono pochi, e sono il rovescio del suo pregio: questo partito esiste e consiste se vai al governo nazionale o locale; rischia di reggere solo se ancorato a questa rendita di posizione, pur legittimamente conquistata; ma proprio per questo è fortemente esposto al suo appiattirsi e risolversi sull’amministrazione, perché è quello che conta per “stare in politica”, con i rischi di sociologia di ceto politico che intuitivamente ne possono venire. In definitiva è piuttosto forte il rischio che da soggetto politico, capace di accompagnare a lungo, secondo una sua idea e i suoi ideali, la crescita del paese, resti o diventi sempre più o ogni volta “un’associazione temporanea di scopo”, o meglio uno spazio politico, finché tiene, per associazioni temporanee locali o nazionali di tal fatta. Francamente non credo che un paese con problemi lunghi come l’Italia possa avvalersi di un’idea di partito e di politica così “abbreviata” nel leader. In vent’anni, impiegata da pressoché tutti i partiti, salvo il Pd, e i due partiti che vi hanno dato origine, non ha portato il Paese da nessuna parte. Sarebbe ben strano che riuscisse a noi come Pd. Per questo penso che la fatica di “stare” quattro anni sul partito, e solo sul partito, e sulla sua politica, proposta da Cuperlo, possa dare a noi e all’Italia qualcosa di più e di più duraturo.