Il sindaco rottamatore rischia di diventare vittima del suo stesso successo
Che la politica italiana sia sempre di più questione di marketing è ormai sotto gli occhi di tutti.
Dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, l’importanza di creare “il caso mediatico” è diventata la vera ossessione degli esperti di comunicazione politica. Al di là dei suoi contenuti, il leader deve essere riconosciuto come un vincente, i media ne devono parlare ossessivamente e ogni sua apparizione pubblica deve essere seguita dal famoso “circo mediatico”. Fin qui niente di nuovo.
La vera novità è che, per la prima volta, questo leader mediatico è a sinistra. Basta leggere i giornali, seguire le trasmissioni televisive o semplicemente contare il numero di giornalisti che lo seguono ovunque, per rendersi conto che per i media italiani Matteo Renzi è l’uomo politico del momento: è il vincente, il nuovo che avanza, l’asso che consentirà al Pd di trionfare alle elezioni.
Eppure il sindaco rottamatore rischia di diventare vittima del suo stesso successo, o meglio ancora del non essersi trovato nel posto giusto al momento giusto. Infatti la sua campagna mediatica funziona soprattutto sotto elezioni, quando la comunicazione può far passare in secondo piano i suoi limiti politici e le sue contraddizioni, e molto meno in un periodo come questo, con le urne che appaiono lontane e con i problemi interni al congresso del Pd da risolvere. Se durante la campagna delle primarie contro Bersani, Renzi riuscì ad apparire come l’uomo nuovo pronto a fare piazza pulita del vecchio notabilato del partito – cosa del resto facile quando ci si contrappone ad un segretario e si rappresenta una minoranza interna – sarà molto più difficile fare altrettanto nelle vesti di segretario. Come farà il rottamatore a spiegare la presenza tra i suoi sostenitori di pezzi di apparato come Bassolino, Fassino, Loriero, Cozzolino, Gentiloni e altri?
E soprattutto come farà a fare piazza pulita dei potentati locali quando buona parte dei “renziani” sui territori sono proprio quegli oscuri signori delle tessere che controllano interi pacchetti di voti?
Un’altra questione che rischia di rivelarsi un boomerang per l’immagine mediatica di Renzi è quella relativa al risultato delle stesse primarie. Dato ormai per scontato che prevarrà sugli altri candidati, per confermare la sua immagine di politico più amato dagli italiani Renzi ha bisogno che le votazioni si trasformino in un vero e proprio plebiscito sul suo nome, un trionfo senza precedenti. Ora, visto il clima di rigetto verso la politica, è altamente improbabile che possano esserci folle oceaniche ai banchetti e del resto un recente sondaggio parla di un 73% di elettori ancora indecisi se andare a votare o meno.
Renzi per ora non si sbilancia su questo tema, ma è chiaro che un certo nervosismo serpeggia tra i suoi sostenitori tanto che già qualcuno ha incominciato a mettere le mani avanti accusando i bersaniani “di puntare a tramutare le votazioni sul segretario in un flop pur di delegittimarlo.”
Ma è soprattutto la spinosa e annosa questione dell’adesione, o quanto meno di un dialogo strutturato, al Partito Socialista Europeo a rappresentare per Renzi il più grosso problema politico. Riuscirà il nuovo Pd renziano a reggere la contrapposta pressione del PSE che vuole un impegno sempre più concreto (non è un caso che per la sede del congresso europeo sia stata scelta Roma) e della nutrita pattuglia di ex Dc, pronta a minacciare scissioni, fuoco e fiamme, contro chiunque osi pronunciare l’innominabile parola socialismo? Per il momento anche su questo Renzi si guarda bene dall’affrontare la questione. Pur senza parlane apertamente, per evitare l’ira funesta dei “gentiloni” di turno, sembra ammiccare ad un modello “Labour” di rito clintoniano. Uno strano mix di politica liberale in economia e di populismo che da un lato attacca il sindacato e dall’altro se la prende genericamente con l’Europa e i “poteri forti”. Sino ad ora gli è andata bene così, ma fino a quando Renzi potrà coprire le sue contraddizione politiche? Fino a quando potrà presentare come nuovo ed efficace un modello blairiano che in Europa ormai è del tutto superato e ,soprattutto, inadeguato a dare una risposta concreta alla crisi economica e di legittimità politica che flagella il continente?