Inchiesta sugli F-35: dubbi e polemiche anche negli Stati Uniti
Il Parlamento italiano ha deciso di prendersi “una pausa di riflessione” sui famigerati F-35 che, complice l’innata propensione italiana alla polemica, sono diventati una fonte inesauribile di diatribe.
Si è parlato molto dell’acquisto degli F-35 e come spesso accade la discussione si è persa in mille rivoli polemici e demagogici tanto da rendere totalmente ingarbugliato l’intero tema. Per alcuni questi aerei di ultima generazione sono diventati il simbolo di una rinnovata ambizione bellica dell’Italia, per altri sono il simbolo delle risorse sottratte a più utili e nobili scopi. Ma come stanno veramente le cose?
Proviamo a ricostruire l’intera vicenda partendo da cosa sono effettivamente gli F-35 e quali possibili utilizzi possono avere e come è stata affrontata la questione negli Stati Uniti.
Il Lockheed Martin F-35 Lightning II, o Joint Strike Fighter-F35, è un cacciabombardiere di 5ª generazione, monoposto, a singolo propulsore, con ala trapezoidale a caratteristiche stealth ( cioè scarsamente percettibile ai radar) ed è l’unico concepito dopo la fine della Guerra Fredda. È essenzialmente un aereo d’attacco (quindi non utilizzabile per missioni di pace) e può essere utilizzato per supporto aereo ravvicinato, bombardamento tattico e missioni di superiorità aerea. E’ armato con un cannone da 25 millimetri e due stive per un carico bellico totale di 8100 chili di bombe e missili. Esistono tre versioni dell’F-35: una variante a decollo e atterraggio convenzionale, una variante a decollo corto e atterraggio verticale per portaerei di dimensioni ridotte e una per l’uso sulle portaerei convenzionali a catapulta.
Gli F-35 sono prodotti dal colosso degli armamenti americano Lockheed Martin e sono finanziati con un sistema complesso a vari livelli di partecipazione che riflettono l’impegno finanziario, l’impegno materiale nella costruzione e determinano l’ordine con il quale le nazioni possono ottenerne esemplari. Il grosso dell’investimento è stato fatto dagli Stati Uniti che insieme alla Gran Bretagna figurano come partner di primo livello. L’Italia, con un contributo di 1 miliardo dollari e i Paesi Bassi, 800 milioni di dollari, sono partner di secondo livello, mentre Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca sono partner di terzo livello (anche se le ultime tre nazioni sembrano molto vicine a defilarsi).
Per quanto riguarda il costo di ogni singolo velivolo mancano delle stime certe per il semplice fatto che il prezzo continua a lievitare man mano che il progetto progredisce.
Dal 15 dicembre del 2006 ad oggi si è passati da 83 milioni di euro a 150 e secondo le stime dovrebbe salire ulteriormente tra i 200 e i 300 milioni di euro nel 2016. Tradotto in termini pratici, in base agli accordi presi, l’Italia pagherà i 90 Lockheed Martin F-35 Lightning prenotati dalle tre alle quattro volte in più. Come spesso accade i pareri degli esperti sono molto discordanti riguardo alla bontà del progetto.
C’è chi li considera un’occasione irrinunciabile e chi solleva molti dubbi a riguardo. Le critiche più feroci manco a dirlo vengono proprio dagli Stati Uniti dove addirittura gli F-35 si sono guadagnati il poco lusinghiero nomignolo di “Fiasco 35”. Il primo studio è stato fatto dalla RAND Corporation una società di analisi strategiche che collabora a stretto contatto col Dipartimento della Difesa statunitense. Un lunghissimo lavoro di simulazioni e studi ha fatto letteralmente le pulci agli aerei di ultimissima generazione, giungendo alla conclusione che gli F-35 sono aerei “pesanti, poco reattivi, lenti nel virare, nel salire di quota e nell’accelerare” e che non sarebbero in grado di competere in un combattimento con i Su-35 russi in progettazione. Ma le critiche della RAND Corporation non sono le prime né le uniche che mettono in crisi il mito dei nuovi “invincibili” aerei. In un rapporto inviato all’amministrazione Obama del 15 febbraio del 2013 un gruppo di progettisti e piloti ha indicato ben otto aree di grave rischio tra cui la visibilità posteriore, la manovrabilità e l’interfaccia degli apparati di bordo. Ovviamente la Lockheed Martin non riconosce nessun difetto nella sua creatura e bolla le critiche come fatte da “incompetenti o prevenuti”. Persino la scarsa manovrabilità dei mezzi non è un difetto per i produttori in quanto “la superiorità nell’elettronica di cui gode l’F-35 rispetto agli altri velivoli può risultare più importante che la manovrabilità in future missioni”.
Paradossalmente le critiche tecniche non solo le più feroci all’intero progetto. Ai dubbi sugli elevati costi degli F-35, si aggiungono quelli proibitivi di manutenzione che la marina statunitense ha stimato essere del 30%-40% superiori ad un qualsiasi caccia attualmente in dotazione. A preoccupare sono in particolare i costi del carburante, pari a 25.000 dollari per ogni ora di volo, e soprattutto gli aggiornamenti e la manutenzione dei software i cui prezzi non sono ancora calcolabili. Addirittura c’è chi adombra il dubbio che l’intero progetto sia stato fatto attraverso procedure poco lecite e totalmente inefficienti. Le accuse riguardano in particolare la scelta di affidare alla Lockheed Martin la produzione immediata dei velivoli per poi revisionarli e modificarli man mano che emergeranno difetti o problemi. Invece di velocizzare le procedure, questa decisione ha prodotto un’impennata della spesa per i contribuenti raggiungendo la mostruosa cifra previsionale di 385 miliardi di dollari.
Negli Stati Uniti c’è ormai chi parla apertamente di ridimensionare se non addirittura di fermare il progetto. Del resto, come ricorda Walter Pincus dalle colonne del Washinton Post, il governo ha ridotto già due volte gli ordini, la prima nel febbraio del 2010, quando l’allora Segretario alla Difesa Robert M. Gates ha bloccato la costruzione di 122 velivoli per problemi evidenti, la seconda nel gennaio scorso quando sono stati rifiutati 124 aerei. In futuro non è escluso che si rinuncerà all’intera versione a decollo corto e atterraggio verticale. Inoltre, secondo una recente stima dell’ufficio contabile americano, saranno necessarie altre diecimila modifiche prima che gli F-35 potranno dirsi un progetto riuscito.
Oltre che tra i tecnici e i giornalisti la polemica divampa feroce persino tra i politici. Ad esempio l’11 febbraio 2011 la Camera ha votato per annullare la produzione di un motore da combattimento supplementare con una maggioranza trasversale composta da repubblicani, democratici e persino alcuni esponenti Tea Partye nel settembre 2012 il Pentagono, stanco per ritardi e inconvenienti, è intervenuto con durezza contro la Lockheed, chiedendo risposte rapide e minacciando addirittura di commissariare il progetto.
A questo punto, come ricorda Christopher Drew, è molto probabile che nei prossimi anni “potenzialmente con un prezzo di centinaia di miliardi di dollari, l’F35 è destinato a diventare il principale bersaglio di chi vuole tagliare il bilancio federale”. Per questo “con i problemi di bilancio in casa, i funzionari del Pentagono e della Lockheed sono alla ricerca di alleati per contribuire a pagare per l’F-35. La Lockheed, infatti, ha bisogno di più ordini stranieri per realizzare un risparmio e avvicinarsi all’obiettivo del Pentagono di ridurre i costi da 106 milioni dollari a 79 milioni a seconda dei modelli.”
Frattanto quasi tutti i partner stanno rivedendo i loro impegni: l’Italia ha tagliato il suo ordine del 30 per cento, la Gran Bretagna e l’Australia hanno ritardato le decisioni su quanti F-35 acquistare e nei parlamenti di Canada e Paesi Bassi ci sono discussione sui costi dei progetti. E senza una ripartizione dell’enorme spesa tra i vari partner gli F-35 diventeranno sempre di più un grosso problema sia per il Pentagono che per la Lockheed stessa.