Io, attivista del PES, durante le elezioni tedesche
Un voto “conservatore”. La Germania alle urne lo scorso 22 settembre ha dimostrato di non voler cambiare la strada intrapresa ormai dal 2005, riconsegnando il governo per la terza volta saldamente nelle mani della Cancelliera Angela Merkel.
Una vittoria annunciata, rilevante nei numeri (la coalizione CDU-CSU guadagna circa otto punti percentuali, quasi tutti a discapito del suo alleato, il partito liberale FDP, che non supera il 5% dei consensi necessari per accedere al Bundestag), e che dimostra quanto gli elettori tedeschi siano molto meno sensibili ad un “voto di sanzione” nei confronti del governo uscente come conseguenza della crisi. Al contrario, viene ampiamente riconfermata la fiducia ad una Cancelliera forte di un successo personale, sempre più popolare nel suo paese e considerata carismatica e influente anche in Europa (per definire la sua politica è stato coniato il neologismo “Merkiavelli”, che descrive in maniera eccellente il profilo di una leader amata in patria, temuta oltre confine).
Dal canto suo, i socialdemocratici dell’SPD, seppur riuscendo a risalire di due punti rispetto al minimo storico del 2009, non sembrano riuscire a presentare all’elettorato tedesco una valida alternativa alle ricette economiche della Merkel, soffrendo anche di un risultato sotto le aspettative del loro alleato, i Verdi.
Paradossalmente, si è trattato di una campagna elettorale in cui l’Europa non ha avuto un ruolo centrale: assente, infatti, il discorso europeo nei dibattiti politici e nei messaggi dei principali partiti. Ciò nonostante, e nuovamente controcorrente rispetto agli altri paesi, le forze dichiaratamente europeiste (CDU, SPD e Verdi) riescono a conservare una base elettorale maggioritaria nel paese. Con una sola eccezione, certo non irrilevante, il risultato di Alternative für Deutschland, primo partito esplicitamente e aggressivamente anti-Europa e anti-euro, che non riesce ad inviare deputati al Bundestag per un soffio, grazie alla soglia di sbarramento prevista dal sistema elettorale tedesco. Un risultato tuttavia da non sottovalutare, soprattutto in vista delle prossime consultazioni europee.
Se la Germania sembrava non guardare all’Europa, l’Europa ha invece seguito con molta attenzione il voto tedesco: come ormai di consueto, il Partito dei Socialisti europei ha inviato a Berlino un gruppo di volontari provenienti da ogni parte d’Europa per seguire la fase finale della campagna partecipando alle attività del SPD a Berlino. Un’occasione di confronto e scambio che rafforza sempre di più l’identità europea delle forze che si riconoscono nel PSE.
La settimana berlinese degli attivisti europei (otto volontari, provenienti da Gran Bretagna, Croazia, Slovenia, Francia, Olanda, Italia, Belgio, Ungheria) è stata densa di incontri ed eventi, sia a livello locale che nazionale. La nostra attività si è concentrata nella città di Spandau, alle porte di Berlino, in cui abbiamo avuto modo di sostenere il candidato SPD della circoscrizione, accompagnando i militanti locali nelle quotidiane e capillari attività di campagna. Un’occasione per conoscere una dimensione più locale della Germania, in un contesto periferico in cui, come rilevato dagli attivisti locali, l’impatto della crisi e le disparità economiche si fanno sentire maggiormente rispetto alle grandi città e alle regioni più produttive del paese.
Ci è stata poi offerta la possibilità di partecipare al meeting di chiusura della campagna elettorale del candidato SPD Peer Steinbrück, nella centrale Alexanderplatz. Infine, abbiamo seguito i primi risultati alla chiusura delle urne presso la Willy Brandt Haus, sede storica del partito.
Ad una settimana dalla chiusura delle urne, con un risultato che obbliga la Merkel a cercare un alleato di coalizione (avendo ottenuto 311 seggi sui 316 necessari a raggiungere la maggioranza assoluta), le opzioni sembrano convergere verso una nuova Große Koalition. Una possibilità ben vista dai cittadini tedeschi (stando agli ultimi sondaggi) ma anche dall’Europa: una soluzione che conferirebbe la stabilità di governo che l’Europa chiede alla Germania, con la speranza che un governo con i socialdemocratici possa permettere di riorientare le politiche di austerità della Merkel rafforzando la dimensione della crescita e delle politiche sociali (si parla già di sei possibili ministeri in quota SPD, tra cui quello delle finanze). Ma c’è anche il timore, presente nel partito e fonte di dissensi interni, che lo strapotere della Merkel in seno alla coalizione finisca per essere controproducente per l’SPD, che si troverebbe nella condizione di alleato minore e con poca possibilità di influire sulle decisioni della Cancelliera.
Sarà difficile ad ogni modo, alle condizioni attuali, considerare un cambio radicale della rotta europea per la Germania, che continuerà a svolgere il ruolo di “supervisore” dei conti europei e di guardiano delle politiche di rigore dei bilanci pubblici. È sempre più necessaria, tuttavia, una vera assunzione di responsabilità da parte della stessa Merkel, e del prossimo governo tedesco, del suo ruolo di motore delle politiche europee. La Germania continuerà ad essere protagonista della nuova direzione che l’Europa dovrà assumere, nell’attesa di una consultazione elettorale europea che si annuncia accesa e densa di rischi.