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18 Mag 2012

Petrolio in Basilicata: la mia Valle contro la Seconda Sorella

di Angelo Leopardi.

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Il Vallo di Diano è una stretta valle all’estremità meridionale della Campania.

Fino agli anni ’70 dello scorso secolo ha vissuto uno strano boom, drogato dalla realizzazione (anche ben al di là delle oggettive necessità) di molti posti di lavoro nel settore pubblico. Gli anni ’80 e ’90 hanno invece segnato la fine di questo modello, con un tentativo di realizzare uno sviluppo più solido basato sull’istituzione del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, e quindi su attività volte allo sfruttamento turistico-ambientale dell’area e alle produzioni eno-gastronomiche di qualità (basti citare l’ormai famosissimo caciocavallo podolico). Modello non particolarmente innovativo nel Meridione, e comunque perseguito in maniera non sempre convinta e convincente dalle Amministrazioni Locali, ma, nonostante tutto, probabilmente adeguato a un’area non densamente abitata (l’intera valle conta 60’000 abitanti suddivisi su 14 comuni).

Il Vallo di Diano è anche la terra nella quale sono nato, e dalla quale sono andato via ormai da vent’anni. Le montagne dell’Appennino Lucano la separano dalla Basilicata; quella “Basilicata Saudita” che è il serbatoio petrolifero nazionale ma, nonostante ciò, continua ad avere uno dei tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile, più alti d’Italia.

Come quello della Val d’Agri in Basilicata, anche il sottosuolo del Vallo di Diano è ritenuto ricco di petrolio, e questo ha recentemente scatenato le mire di uno dei colossi petroliferi mondiali, una delle mitiche “sette sorelle” di Enrico Mattei, la Shell.

La Shell ha infatti recentemente presentato istanza per l’esecuzione di indagini e perforazioni volte alla valutazione del potenziale petrolifero del Vallo di Diano. Questa prima istanza, assai vaga in quanto chiedeva di poter effettuare indagini su un’area vasta e abitata senza nemmeno precisare la posizione delle perforazioni, è stata rigettata dalla Regione Campania grazie anche all’azione di un Comitato spontaneo di cittadini, che hanno evidenziato le manchevolezze dello studio Shell.

Ma indipendentemente da questo primo risultato, la questione dell’eventuale sfruttamento petrolifero del Vallo di Diano è emblematica di tutti quei problemi sull’uso del territorio e delle sue risorse che, dalla TAV al Ponte sullo Stretto, tante tensioni e polemiche hanno creato e creano.

Cercando di evitare posizioni preconcette è fuori di dubbio che lo sfruttamento petrolifero intensivo di un’area è incompatibile con qualsiasi altro modello di sviluppo della stessa e, in particolare, con quello faticosamente portato avanti nel Vallo di Diano, e, come detto prima, basato sull’istituzione di un Parco Nazionale. Anche adottando tutti i necessari accorgimenti, gli incidenti, sempre possibili (anzi certi sul lungo periodo) creerebbero inquinamento dell’aria, delle falde acquifere e del suolo. La stessa presenza dei pozzi, così impattanti dal punto di vista paesaggistico, cancellerebbe immediatamente qualsiasi appealing dell’area, distruggendo quanto di buono è stato fatto in decenni per valorizzarla.

L’esperienza della vicina Val d’Agri ha insegnato che lo sfruttamento petrolifero ha portato agli abitanti direttamente interessati solamente una riduzione della qualità della vita (dal punto di vista ambientale e quindi della salute), lasciando invariati i problemi di disoccupazione e, anzi, paradossalmente aggravandoli a causa dell’incompatibilità con altre attività che sarebbero la vocazione naturale di quei territori. Delle royalties, i diritti che le compagnie pagano per lo sfruttamento della risorsa, ai comuni interessati arrivano gocce, mentre la maggior parte si disperde a livello regionale impattando, udite bene, per meno di 100 € pro capite all’anno.

A fronte di un tale esempio è facile comprendere la posizione dei cittadini del Vallo di Diano, e la loro ferma opposizione in difesa della loro terra. Una posizione, almeno per ora, tenuta con le armi della civiltà e del dialogo, con una ferma pressione sulla politica locale per impedire scempi del territorio.

Resta da capire se il centro, Napoli, Roma … terranno conto della posizione ferma e determinata dei valligiani o se, piuttosto, vorranno adottare quella politica sorda e prepotente che ha portato al disastro sociale della Val di Susa. A quel punto forse anch’io sarei un NO TAV.

Scritto da

Angelo Leopardi

- Ricercatore di Idraulica all'Universita' di Cassino. Si occupa anche dei problemi dell'universita' e della ricerca in Italia.