Lettera al direttore del Corriere del Mezzogiorno
Caro Direttore,
mi pare che Eugenio Mazzarella abbia colto nel segno con le sue osservazioni pubblicate ieri su queste colonne. Un partito che si voglia dire davvero di sinistra non può prescindere dalla necessità di avanzare politiche di accorciamento delle distanze socio-economiche e culturali fra cittadini. Il corpaccione molle del “ceto medio” non esiste più e quelle che una volta erano considerate le masse popolari non hanno più collanti e coaguli che le tengano compatte in visioni politiche unitarie. Si presentano piuttosto grumi sociali sparpagliati tendenti alla deriva senza capacità di sintesi e allettati da una voglia protestataria fine a se stessa. Ciò ancor più vale per la Campania e Napoli, dove, peraltro, a fronte della sparizione di agenti leciti catalizzatori e contenitori di consenso, si insinuano formule di raccordo fra uomini e donne al confine dell’illegalità o al di qua di essa.
Non è solo il problema di una classe operaia finita in paradiso per anzianità , età prepensionabile o per crack delle industrie. Anche il mondo impiegatizio pubblico e privato è stretto in una recessione costante che non ha rigenerato nuove coppie e cellule sociali in grado di fondare sulla stabilità del lavoro il loro progetto-famiglia, nella diffusione del quale riconoscere un modello di “comunità”.
Non è nemmeno il problema dei figli che restano a lungo a casa, che Padoa Schioppa avrebbe chiamato “bamboccioni”, Michel Martone “sfigati” e che oggi concretamente siedono alla Vicepresidenza della Camera dei Deputati. Certo non tutta loro è la colpa se a fine mese si arriva sommando allo stipendio dei genitori la pensione sociale della nonna, ma comunque senza prospettive di un lavoro non precario, nella esaltazione della noia per il posto fisso. Né gli scantinati di Secondigliano risultano pieni di nostrani Steve Jobs in grado di lanciare idee e nuove tecnologie capaci di conquistare il mondo.
Non esiste più una frattura fra “garantiti” e non. Qui sono a rischio anche i tradizionali baluardi di sicurezza economico-sociale. La storia dei ticket nella sanità, l’incremento delle addizionali comunali e regionali sulle tasse, il progressivo deterioramento di tutti i servizi pubblici fanno “pandant” alla favola che eravamo ammalati di assistenzialismo, mentre in realtà stanno pian piano abbattendo lo Stato Sociale di diritto.
Ma è dal welfare che occorre ripartire. Non migliorando le condizioni generali della qualità della vita, si sta erodendo lo spazio di apparente salvezza di alcuni, che in realtà sono anch’essi sull’orlo del precipizio. Invece si radicalizzano soltanto i poli dei ricchissimi e dei poverissimi: con la differenza che i primi decrescono in numero e aumentano in redditi e rendite, mentre i secondi si incrementano in numero e assommano a reddito quasi-zero.
Ora Guglielmo Epifani è segretario del Pd e viene direttamente dal sindacato, cosa stranamente guardata con sospetto da taluni. Nella sua esperienza organizzativa ha già lanciato un messaggio chiaro durante il discorso di investitura, spingendo l’acceleratore su quelle che una volta erano chiamate “le politiche sociali”: “Dobbiamo rigenerare una comunità partendo dai territori, perseguendo con determinazione politiche che diano immediate risposte per condizione dei giovani, degli anziani, dei più deboli. Dobbiamo mettere in rete le forze sane per contrastare senza indugio una cultura della illegalità che molti provano a far passare per normale”. Qui da Napoli, suo collegio elettorale, occorre ricostruire un tessuto socio-politico per imboccare quest’unica strada che tende alla giustizia sociale, senza la quale resta soltanto il disordine di un conflitto fuori dagli argini della vera democrazia.
Dal Corriere del Mezzogiorno del 17/05/2013