L’Europa della cooperazione contro la crisi
L’EUROPA DELLA COOPERAZIONE CONTRO LA CRISI
Rivolgiamo questo appello ai Partiti della sinistra italiana perché si facciano promotori , attraverso le prossime elezioni europee e il sostegno alla candidatura di Martin Schultz, di un forte e credibile programma di cambiamento delle politiche dell’Unione Europea che blocchi e inverta il drammatico corso di crisi economica e democratica che sta devastando il nostro Paese e l’Europa intera.
Le prossime elezioni per il rinnovo europeo del 25 maggio sono importanti più che nel passato perché mai l’UE ha attraversato una crisi economica come quella in cui si trova tuttora e sono le prime dopo l’entrata in vigore il 1 decembre 2009 del Trattato di Lisbona e della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE.
La crisi economica e le ricette adottate hanno dimostrato l’inesistenza di una efficace governance europea, che si fondi su chiare competenze degli organi comunitari, sostituiti da intese tra governi e da organi non previsti dai trattati come la Trojka, espressione di accordi interstatuali sottratti ad ogni forma, anche indiretta, di controllo democratico. Non solo, mentre con il Trattato di Lisbona sono aumentati i poteri dei parlamenti nazionali nella fase ascendente di formazione delle normative comunitari, si è scelto di agire nella zona grigia della cooperazione interstatuale e con accordi come il Fiscal Compact che non fanno formalmente parte dell’ordinamento europeo comunitario.
L’adesione acritica a ricette dell’ austerità imposte agli Stati in crisi comporta una restrizione degli spazi democratici oltre che un aggravamento e delle condizioni economiche e sociali. Ben prima di rilanciare il sogno federalista e democratico degli Stati Uniti d’Europa, si deve urgentemente arrestare il processo parallelo di espropriazione della sovranità nazionale e di accentuazione del deficit democratico della costruzione europea. Gli effetti di questo processo sono particolarmente accentuatì in Italia , paese nel quale le modifiche introdotte al sistema elettorale con la legge n. 270/2005 hanno messo in discussione il ruolo e l’autonomia del Parlamento nell’operare in nome dell’esclusivo interesse della Nazione, come richiesto dall’art. 67 Cost., con corrispondente dilatazione dei poteri del Governo e della Presidenza della Repubblica. Una nuova politica europea richiede una ampia partecipazione popolare nella scelta dei parlamentari europei e, indirettamente, del candidato alla Presidenza della Commissione. Auspichiamo pertanto che la partecipazione al voto sia superiore a quella del 2009 e sia accompagnata da un confronto a tutto campo sull’Europa che vogliamo, per evitare un generico e sterile dibattito tra europeisti e antieuropeisti. I parlamentari europei non sono più i “rappresentanti dei popoli degli Stati membri” ma i rappresentanti dei cittadini UE, che ”sono direttamente rappresentati, a livello dell’Unione, nel Parlamento europeo”(art. 10, par. 2 TUE). Non deve quindi essere più nella discrezionalità degli Stati escludere dalla rappresentanza cittadini UE, con soglie d’accesso variabili e stabilite autonomamente, senza tra l’altro tenere conto che la rappresentanza degli Stati più popolosi è già limitata dal criterio della proporzionalità degressiva. Un parlamento europeo più rappresentativo dei cittadini è il presupposto istituzionale per un nuovo indirizzo politico, sociale ed economico.
LA GRAVITA’ DELLA CRISI
Bastano pochi dati per chiarire la gravità della situazione italiana. Siamo giunti al sesto anno di crisi economica. Il risultato è che mai, prima d’ora, l’Italia unita aveva subito un crollo dei redditi e dell’occupazione così grande e una accentuazione così grave delle diseguaglianze. Secondo le stime correnti la disoccupazione non tornerà ai livelli che aveva nel 2007 prima del lontano 2023; non parliamo più di una generazione senza futuro, ma di almeno due generazioni a rischio. E di conseguenza, dall’anno scorso un italiano su tre è a rischio di povertà o esclusione sociale: un malessere che vediamo nelle strade e non solo.
Un quadro analogo presenta l’Europa nel suo complesso, sia pure con differenze nazionali, ma con un segno trasversalmente negativo per quanto riguarda l’aumento della disoccupazione e la riduzione del welfare state. Concepita dai nostri padri, dopo l’ennesima tragedia della Seconda Guerra Mondiale, come strumento di unificazione, pace e solidarietà dei popoli europei, capace di garantire i valori della democrazia e della giustizia sociale, l’Unione Europea sta attraversando una crisi drammatica, che aggrava gli squilibri fra i paesi e le contraddizioni sociali al loro interno, e indebolisce le istituzioni democratiche e i diritti dei lavoratori a favore delle istituzioni tecnocratiche e del potere dei mercati finanziari. Da sogno l’Unione Europea corre il rischio di tramutarsi in incubo.
Per questo servono parole di chiarezza per l’Europa e per l’Italia. La crisi finanziaria, partita dagli Stati Uniti, ci ha colpito più duramente degli altri, a causa delle politiche sbagliate imposte dalle istituzioni europee e dai governi nazionali che le hanno decise.
Non che, prima del 2008, fosse tutto rose e fiori: l’Italia in particolare era già in un lungo periodo di ristagno, causato anche dalle politiche nazionali di avvicinamento all’Euro. Ma nell’immediato dalla crisi si esce solo con politiche europee radicalmente diverse. Non servono le politiche attuali, e non bastano soluzioni nazionali.
Ecco perché le elezioni europee di quest’anno sono una grande occasione per invertire il declino che il nostro Paese ha imboccato e per cambiare di segno all’Europa. Un’occasione unica, da non sprecare rendendo queste elezioni, per l’ennesima volta, elezioni nazionali “di serie B”.
Quest’anno, per la prima volta, alle elezioni europee si fronteggiano, seppure con difficoltà e contraddizioni, visioni alternative su cosa l’Europa deve essere e dove deve andare. Le grandi famiglie politiche e culturali europee propongono candidati che si fronteggiano su scala continentale per attuare la loro visione: i popolari che hanno governato finora, avendo avuto la Presidenza della Commissione Europea e del Consiglio e la maggioranza dei governi nell’UE, sostengono le politiche liberiste e conservatrici dell’austerity e della deflazione salariale, e vogliono un’Europa fondata sulla competizione tra i Paesi membri. Dall’altra parte il vasto fronte progressista che spazia dalla sinistra europeista di Tsipras ai Verdi ed è guidato dall’altra grande famiglia europea, quella socialista, nella quale non prevalgono più le politiche dell’europeismo retorico e, soprattutto, della “Terza Via”, mentre si rafforzano le richieste di una svolta immediata nelle politiche europee, non di vaga solidarietà ma di concreta cooperazione tra Paesi. Vi sono poi movimenti populisti e di protesta, anti-euro, che hanno per lo più carattere nazionale e assumono in molti casi aperti connotati di destra e fascisti; e i liberaldemocratici dell’ALDE su posizioni neoliberali.
In questo complesso scenario occorre sostenere con forza l’unità del fronte delle sinistre a supporto della candidatura socialista di Martin Schulz come presidente della Commissione Europea. Come presidente del gruppo dei socialisti prima, e del Parlamento Europeo poi, Schulz ha capito subito che rafforzare il Parlamento – unica istituzione democratica dell’Unione Europea – significa anche lottare contro il liberismo e le politiche di austerità e di deflazione interna.
L’urgenza della crisi impone di definire subito un programma “dei primi 100 giorni” per la nuova Commissione che contenga misure efficaci e immediatamente attuabili. Contemporaneamente, occorre partire da subito anche con le contrattazioni politiche, tra Paesi e tra partiti, per le riforme necessarie ad uscire definitivamente dalla crisi e a evitarne di nuove, per quanto possibile, in futuro.
LE MISURE PIU’ URGENTI
Tanti anni di predominanza politica dei conservatori hanno iscritto nelle norme europee vincoli rigidi e stupidi – per usare le parole dell’ex presidente della Commissione Romano Prodi – che sono oggi difficilmente superabili, almeno nell’immediato. Per questo, una svolta europea richiede la piena collaborazione di tutte le istituzioni europee, ben oltre Parlamento e Commissione, per utilizzare subito a pieno gli strumenti che già ci sono.
La prima e più potente istituzione europea oggi è la Banca Centrale Europea (BCE). Finora, poiché non vi era alcun rischio di inflazione, anche per sopperire al rifiuto di molti governi ( in primis la Germania) di ogni forma di mutualizzazione dei debiti pubblici, la BCE è stata l’unica istituzione che con le sue azioni ha garantito la sopravvivenza dell’Unione. Per gli stessi motivi, è inevitabilmente quella su cui graverà parte della responsabilità anche nell’immediato futuro. Parlamento e Commissione europei che usciranno dalle elezioni dovranno stimolare e sostenere un ulteriore sforzo della BCE, che deve divenire sempre più politicamente responsabile delle sue decisioni di fronte alle istituzioni democratiche europee. In particolare, serve maggiore sforzo nella politica monetaria “tradizionale”, combattendo il rischio di deflazione in ogni singolo paese europeo: sia adottando un obiettivo di inflazione media più alto, sia sviluppando strumenti che permettano di differenziare l’impatto delle politiche monetarie nei diversi paesi dell’area dell’euro. Ma servono anche nuove iniziative di politiche monetarie “non tradizionali”: dal rinnovo dei prestiti straordinari a lunga durata (LTRO) della BCE alle banche europee, a misure che permettano alla BCE di acquisire pacchetti di prestiti delle banche alle piccole e medie imprese, ad esempio accettandoli (in forma di titoli o altro) come garanzia in cambio di prestiti. Quest’ultima misura, già oggetto di discussione in seno alla BCE, permetterebbe di dare respiro sia alle banche sia, soprattutto, alle piccole e medie imprese, fondamentali per la ripresa di paesi come l’Italia.
I tre punti che seguono non possono, ovviamente, essere integralmente realizzati nei primi cento giorni dall’insediamento della nuova Commissione Europea, ma entro tale data, anche con il supporto della Presidenza di turno dell’UE, occorre predisporre le misure necessarie per l’adozione della maggior parte di essi.
I) Project Bonds e potenziamento del bilancio europeo per l’occupazione e lo sviluppo
Non è possibile continuare a scaricare l’intera gestione della crisi sulla sola BCE. Consiglio e Commissione devono molto più concretamente contribuire, in primis riprendendo e potenziando il “Growth Compact” approvato per affiancare, finora solo a parole, il pessimo “Fiscal Compact”.
La priorità della nuova Commissione dovrà senza dubbio essere un grande piano di investimenti pubblici su scala europea, che finanzi progetti in infrastrutture materiali e immateriali: sia nei beni comuni, nei settori dei trasporti e dell’energia, per orientare la crescita alla sostenibilità ambientale; sia nella ricerca, le start-up e il sostegno del settore della cura (degli anziani, dei bambini, … da intendersi come “investimento sociale”).
Nel rispetto delle norme vigenti, questi investimenti possono essere finanziati dalla Banca Europea degli Investimenti (EIB) con titoli europei, ma il sostegno della BCE in termini di garanzia e finanziamento è comunque necessario, ad esempio per acquistare parte di questi titoli.
A integrazione delle risorse così raccolte occorre potenziare il bilancio europeo tramite imposte raccolte direttamente a livello europeo: a cominciare da imposte sulle transazioni finanziarie e imposte ambientali, la cui riscossione su scala nazionale non è efficiente, per aumentare gradualmente il raggio d’azione alle imposte sul valore aggiunto nelle transazioni internazionali e, in prospettiva, a imposte sulle rendite finanziarie.
Queste risorse devono essere utilizzate a integrazione dei fondi strutturali (investimenti per ridurre l’accumulazione di squilibri economici e sociali tra paesi) e per prime misure di welfare europeo, che devono servire anche a sviluppare un senso di identità e di solidarietà europea. Inoltre, occorre modificare la strategia europea dell’occupazione concentrando le attuali politiche per l’impiegabilità, che data la scarsità di domanda sono in questa fase poco efficaci, solo per le persone veramente escluse dal mercato (lavoratori anziani, disoccupati di lunga durata, inattivi), e dirottando piuttosto la maggior parte dei fondi esistenti allo stimolo della domanda di lavoro e per progetti di creazione di lavoro. Occorre inoltre concentrare la spesa della gran parte delle risorse dello schema di “youth guarantee” nei primissimi anni del bilancio comunitario, per far fronte all’urgenza della crisi.
II) Un Social Pact
Occorre lanciare un “Social Pact” a integrazione dei due Patti citati sopra, che includa un salario minimo europeo (commisurato al mercato del lavoro nazionale), standard minimi in termini di protezione dell’impiego e di sicurezza del lavoro, nonché di tassazione (per eliminare la concorrenza fiscale tra paesi ai fini di attrarre base imponibile, soprattutto delle multinazionali). Il “Social Pact” deve fissare obiettivi di occupazione e inclusione sociale, che devono divenire tanto rilevanti quanto quelli fiscali. Devono far parte di questo nuova patto politiche e misure che favoriscano il dialogo sociale e la contrattazione collettiva, affinché le nuove politiche industriali possano produrre crescita della produttività e dei livelli salariali.
Ad ogni modo, come detto sopra e risorse gestite dal bilancio dell’UE (pari oggi all’1% del PIL europeo) sono troppo scarse per contrastare efficacemente la crisi, e vanno notevolmente integrate sia con nuove fonti di entrate proprie, sia con il maggior ricorso all’indebitamento degli enti europei. Ma, ed è questo un punto cruciale, poiché nell’attuale contesto le risorse nazionali rimangono preponderanti, è imperativo giungere a un vero coordinamento delle politiche fiscali nazionali: ben diverso dall’attuale rigidità che impone a tutti i paesi di fare le stesse politiche, tutti contemporaneamente. Per questo, occorre riformare e potenziare il Procedimento sugli Squilibri Macroeconomici (MIP): occorre che alle raccomandazioni del Consiglio facciano seguito potenziali sanzioni, e soprattutto che gli squilibri macroeconomici siano riequilibrati in modo simmetrico tra paesi in surplus delle partite correnti e paesi in deficit (con le concrete modalità che andranno contrattate urgentemente).
III) Riformare la finanza
La riforma della finanza non è solo un imperativo etico, ma un’esigenza economica. Il problema non è solo evitare, per quanto possibile, che gli effetti di una prossima crisi finanziaria siano così terribili sull’economia reale come lo sono stati questa volta. Esiste anche la questione, tutt’altro che risolta, del riequilibrio di potere fra i mercati finanziari globalizzati, i governi nazionali e le istituzioni internazionali. Su questo fronte occorre gradualmente, ma rapidamente, inserire forme di controllo e ridimensionamento del sistema bancario ombra; la separazione societaria (non solo contabile) delle banche d’investimento da quelle commerciali e/o la frammentazione delle grandi banche in istituti che possano fallire; una riforma della supervisione bancaria “prudenziale”; la lotta ai paradisi fiscali e al segreto bancario (nell’UE ma anche fuori); e una regolazione stretta dei prodotti derivati e delle transazioni finanziarie ad altissima velocità; affiancando queste misure al potenziamento delle banche di sviluppo locali e nazionali (tipo CDP).
Inoltre, occorre bloccare alcuni dei canali con cui gli aspetti ancora non risolti della crisi finanziaria si propagano all’economia reale. Anzitutto, sviluppando una vera unione bancaria, di cui quella appena approvata è solo il timido inizio, che includa un’assicurazione europea sui depositi entro i 100.000 euro e fondi per la ricapitalizzazione/risoluzione delle banche in crisi. Nell’attesa che sia creato un fondo europeo finanziato dal sistema bancario, previsto per il 2016, occorre che l’utilizzo del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) sia legato a vere misure punitive degli azionisti e di alcune classi di creditori ma non anche a misure di condizionalità per gli Stati. L’operatività dell’ESM deve inoltre essere rafforzata, dotandolo di licenza bancaria e permettendo alla BCE di acquistare i titoli da esso emessi, al fine di finanziare la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà e l’acquisto senza condizioni dei titoli di Stato dell’area dell’euro che possono essere considerati in crisi in quanto oggetto di speculazione.
LE RIFORME NECESSARIE
Oltre alle misure indicate sopra, ve ne sono alcune, non meno prioritarie, la cui attuazione richiede una modifica di Trattati internazionali, inevitabilmente soggetta a trattative più lunghe e difficili. Anche in questo caso, indichiamo le misure seguenti non per compilare una lista dei desideri ma per indicare la direzione di marcia e le politiche ritenute prioritarie, consci che l’approvazione anche solo di parte di esse sarebbe comunque un grande passo verso la soluzione della crisi, mentre la ricerca di soluzioni esclusivamente nazionali è destinata al fallimento.
La nuova Commissione dovrà farsi promotrice di una riforma del coordinamento europeo delle politiche fiscali nazionali: sia negli obiettivi (come detto, non ha senso che tutti i paesi membri facciano contemporaneamente la stessa cosa, come imposto dal Fiscal Compact, e la piena occupazione deve divenire un obiettivo esplicito delle autorità nazionali e europee), sia negli strumenti (con l’inserimento della cosiddetta golden rule sugli investimenti pubblici, e la soluzione al problema dello status giuridico delle misure contenute nel Six Pack e nel Two Pack, e in generale dei rapporti tra eurozona e paesi dell’UE che non adottano l’euro). Inoltre, sembra necessario procedere anche a una riforma dello Statuto della BCE per includere il pieno impiego tra i suoi obiettivi e per permetterle l’acquisto di titoli pubblici.
Infine, sempre più necessaria è una riforma delle politiche industriali e della concorrenza per permettere agli Stati membri di recuperare il giusto ruolo del settore pubblico nell’economia, a sostegno e incentivo dell’innovazione, della specializzazione settoriale nazionale, e delle politiche ambientali.
APPELLO PER UNA NUOVA EUROPA
Il 2014 è l’anno in cui la giusta protesta contro le politiche sbagliate e nocive imposte da diversi governi e istituzioni europee può prendere forma politicamente, per un cambiamento vero dell’Europa. E’ sbagliato sia riporre ogni speranza solo nel semestre di presidenza italiana dell’UE, sia ritenere a priori che nessun margine di contrattazione esista per poter cambiare l’Europa. Ma per farlo, le elezioni vanno combattute e vinte.
Per questo serve una strategia socialista europea: l’Italia ha responsabilità proprie del suo declino, e molto obiettivi nazionali da raggiungere, ma una svolta socialdemocratica italiana è possibile solo se accompagnata e garantita da una svolta europea. Se in Italia il dibattito è spesso accusato di provincialismo, in Europa è troppo spesso limitato agli aspetti normativi e istituzionali. Come indicato nelle misure qui proposte, è con il rilancio della domanda aggregata, il recupero del ruolo pubblico nell’economia, e il ribilanciamento del potere relativo del lavoro rispetto al capitale che progredirà l’Europa. E, con essa, l’Italia.
Il programma del Socialismo Europeo deve innalzare la bandiera della difesa del lavoro e del Welfare, deve parlare ai bisogni e alle aspettative del mondo del lavoro e dei ceti popolari, che devono sentire che c’è una forza politica europea che li richiama in primo piano e punta sul loro protagonismo. Questo è sempre stato e deve essere oggi più che mai lo spirito del socialismo.