Lombardi e il fenicottero
Uscito ormai quattro anni fa, il 21 gennaio 2010, ‘Lombardi e il fenicottero’, edito dalla brillante casa editrice ‘L’Asino d’oro’, e’ stato scelto dalle ‘Edizioni Il Sole 24 ore’ per la prestigiosa collana ‘Il Pensiero dei Padri Costituenti. Le idee di ieri, che servono all’Italia di oggi’ e sarà in edicola sabato prossimo 12 ottobre insieme al quotidiano. Proprio quando il dibattito culturale e politico ruota attorno ai temi cari a Lombardi: il modello di ‘una società più ricca perché diversamente ricca’ in grado di ‘infrenare le inframmettenze clericali’; capace di dar risposte ai bisogni ‘materiali’: il lavoro, il salario, la casa, la tutela della salute, ma anche ai ‘bisogni immateriali’: la cultura e l’istruzione, il tempo libero per se e per gli altri, la qualità della vita, del mondo del lavoro, dei ceti meno abbienti; guidata da un’idea forte di programmazione economica delle risorse naturali che non infinite andavano impiegate con sobrietà, e tenesse conto del terzo mondo. Una battaglia culturale e politica per quel che oggi si chiama ‘bene comune’. Come fu la nazionalizzazione dell’energia elettrica, perchè tutti ne usufruissero; il lavoro per tutti/e: nessuno sarebbe dovuto restare senza lavoro; la scuola pubblica dell’obbligo: il sapere per tutti/e; lo Statuto dei Lavoratori: non daremo più soldi ai lavoratori ma un bene più prezioso: la libertà sindacale e politica; il divorzio: la vita cristiana non può essere imposta per legge come l’aborto. Un laico a tutto tondo, come del resto la sua compagna, il fenicottero comunista Ena Viatto: dispose anni prima di esser cremato senza riti religiosi! Nel suo progetto culturale e politico c’era un’Europa, autonoma e neutrale da Usa ed Urss, unita socialmente, politicamente e non solo (il Mec) finanziariamente: “[…] Se l’Europa si fa sulla base del modello americano il mondo, nel suo complesso, non potrà sopportare questo; e non politicamente ma per ragioni biologiche di vita. O si segue un modello diverso, opposto, oppure andremo incontro a crisi economiche e politiche per cui la costruzione di unità europea potrà diventare addirittura un fatto nocivo”. Di Lombardi, del suo ‘riformismo rivoluzionario’ che aveva nelle ‘riforme di struttura’ il mezzo per rovesciare la società capitalistica, al più si disse: un presbite, un utopico! La sua onestà anche intellettuale, il suo rigore, la sua trasparenza e capacità di progettare, non furono mai messe in discussione: disturbavano ed irritavano. Non vinse, rispetto ai ‘vincitori’ di giornata, ma non è stato sconfitto dalla Storia. E con lui altri ‘grandi riformatori’ della stazza ‘uomini di cultura’ prestati alla politica o al sindacato: Bruno Trentin, Giuseppe Di Vittorio, Fernando Santi, Antonio Giolitti, Vittorio Foa. Ad unirli fu l’eresia: il coraggio, la forza, la radicalità di dire dei ‘No’ che fosse Togliatti o Nenni, Berlinguer o Craxi, ad un modo di far politica ‘consociativo e compromissorio’ che metteva avanti l’interesse del Partito a quello del socialismo, che prescindeva dalle persone e dai loro bisogni materiali ed immateriali. Pretendere, come fece Trentin con il contratto dei metalmeccanici, le 150 ore di ‘formazione continua’ perché anche “l’operaio sapesse suonare il violino” sta in questa cultura, in questo modo d’intendere la prassi politica che non aveva un vuoto di pensiero né un pensiero recondito! Al quesito ‘Quale Repubblica’, Lombardi, come Piero Calamandrei, rispose con la ‘Repubblica Presidenziale’ in alternativa alla ‘Repubblica parlamentare’. Cosa non lo convinceva della ‘Repubblica parlamentare’? L’ingerenza dei partiti, la partitocrazia e la pratica parlamentaristica: “[…] pratica che rappresenta la forma tipica di degenerazione da cui le democrazie di tipo occidentale devono guardarsi come dalla morte”. Poi l’instabilità dei governi di coalizione, un difetto da scongiurare affidando la scelta del governo alla sovranità popolare. “[…] Gli Stati moderni sono caratterizzati da tre fenomeni: il primo, il crescente intervenzionismo dello Stato; il secondo, il prevalere dell’elemento permanente (burocrazia, esercito) rispetto all’elemento elettivo (Parlamento); il terzo l’affermarsi dei grandi partiti organizzati, detti di ‘massa’, ed il conseguente spostarsi, in larga misura, della linea dal Parlamento all’interno dei partiti e del potere politico del governo alle direzioni dei partiti” Viceversa con il modello della Repubblica Presidenziale, “il Presidente della Repubblica e’ anche capo del governo e viene eletto direttamente a suffraggio universale, anziche’ eletto in secondo grado dalla Camera dei Deputati, dai partiti: gia’ in sede di elezioni il candidato alla Presidenza della Repubblica, appunto perche’ sara’ anche il capo del governo, e’ costretto a presentarsi con un programma di governo: il compromesso programmatico non avverra’ tra diversi candidati alla presidenza e dopo le elezioni [..] dunque il compromesso avverra’ prima delle elezioni fra alcuni partiti che […] si accorderanno per la candidatura di un uomo a cui sara’ affidato un programma concordato”. Poteva anche non essere una Repubblica Presidenziale secca, come spiegò Calamandrei in sede di Assemblea Costituente: “[…] Per questo noi avevamo sostenuto qualche cosa che somigliasse ad una Repubblica Presidenziale o per lo meno a un governo presidenziale, in cui si riuscisse, con appositi espedienti costituzionali, a rendere più stabili e più durature le coalizioni, fondandole sull’approvazione di un programma particolareggiato sul quale possano lealmente accordarsi in anticipo i vari partiti coalizzati. Ma di questo, che è il fondamentale problema della democrazia, cioè il problema della stabilità del Governo, nel progetto non c’è quasi nulla”. Prevalse il tripartitismo, vale a dire i partiti massa: Dc, Psi, Pci. E Calamandrei lo esplicitò bene: “[…] Se dovrà continuare un pezzo, come mi pare di aver sentito dire dall’on. Togliatti, il sistema del tripartitismo, credete voi che si possa continuare a governare l’Italia con una struttura di governo parlamentare, come sarà quella proposta dal progetto di costituzione?”. Entrambi si batterono contro l’inserimento dei Patti Lateranensi del 1929 tra la Chiesa e il Regime fascista nella Costituzione: e di fronte all’art. 7 voluto da Togliatti e De Gasperi e sostenuto dalle destre, anche qui restarono ‘vox clamans’ nel deserto! Per inciso: il solo ed unico tentativo di liberare Antonio Gramsci fu messo a punto proprio da Lombardi insieme al gruppo di militanti comunisti milanese. Ad un ordine preciso e convenuto Gramsci, durante il tragitto da San Vittore al Tribunale Speciale, avrebbe dovuto liberarsi delle manette mediante delle chiavette fatte dall’Ingegnere ‘acomunista’ e nascoste in uno gnocchetto di ‘pasta reale’ destinata al detenuto. Ma tutto per bocca di Tatania, la cognata di Gramsci, non poté esser eseguito!