L’ultimo appello
Con la nomina di 30 sottosegretari e 10 vice ministri si è completato il governo Letta. Ora l’esecutivo appoggiato per la prima volta da Pd e PDL non ha più scusanti per non prendere urgentemente i provvedimenti che servono al paese.
Strozzata da una crisi economica senza fine, fiaccata moralmente da venti anni di imbarbarimento morale e politico, l’Italia appare quanto mai stanca e lacerata dalle continue lungaggini della politica. Mentre infatti i partiti sono prigionieri nel loro immobilismo, immersi in lotte interne e in una permanente campagna elettorale inutile e rissosa, la società italiana retrocede ogni giorno. Rabbia e paura sono ormai diffuse nel paese, anche se per ora non sono esplose in tutta la loro violenza.
E’ chiaro, però, che ci troviamo di fronte veramente all’ultimo appello. Non ci saranno più tempi supplementari: o la politica saprà dare risposte al paese o l’opinione pubblica non perdonerà. Se in tempi brevissimi non si fronteggeranno gli effetti di una crisi economica devastante, di un fisco estremamente iniquo, di uno sconvolgente precariato, difficilmente la collera popolare si placherà. Nessuno sarà più disposto a giustificare un governo che per l’ennesima volta aspetterà fino all’ultimo per varare una legge elettorale con il rischio di andare a votare ancora con il Porcellum. Saranno soprattutto i partiti che si giocheranno definitivamente ogni residuo di credibilità se non realizzeranno una profonda moralizzazione della vita pubblica, riducendo i costi della politica e rendendo più stringenti le norme sulla corruzione.
Ciò che l’Italia chiede oggi è un governo che realizzi nel più breve tempo possibile le riforme. Non bastano più le buone intenzioni o i proclami, gli italiani chiedono i fatti. Riusciranno finalmente i partiti a capire che è in gioco la tenuta dell’intero sistema democratico? Anche se è presto per giudicare, guardando l’osceno atteggiamento sull’IMU non c’è da essere molto ottimisti. A prima vista i due azionisti di maggioranza del governo e tutta l’opposizione, in primis il M5S, sembrano giocare ancora alla campagna elettorale. Con un occhio ai sondaggi e l’altro al paese, mostrandosi più interessati ad incassare il massimo risultato possibile in vista delle elezioni future piuttosto che risolvere le questioni più urgenti.
Il governo Letta potrà essere utile al paese solo se riuscirà, una volta per tutte, a scomporre e ricomporre gli effetti di questo funesto ventennio che chiamiamo Seconda repubblica. Nella storia non è mai esistito un governo di unità, di scopo o addirittura costituente che si sia limitato a conservare lo status quo. La stessa unione delle forze antifasciste dopo la Seconda Guerra mondiale è potuta esistere soltanto perché c’era da riscostruire il paese dopo la guerra. In quel caso l’opera di pacificazione nazionale era favorita da due fattori di non poco conto: l’esperienza della guerra di liberazione e la scomparsa dalla scena pubblica dei protagonisti del sistema precedente. Non a caso la XII disposizione della Costituzione transitoria e finale prevedeva limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista per cinque anni. Al di là degli aspetti punitivi, questa diposizione si basava sul principio logico che chi aveva contribuito a creare un sistema politico difficilmente avrebbe avuto la forza e il coraggio di gettare le basi per quello nuovo.
Ovviamente oggi tutto ciò non sarebbe applicabile, tuttavia il tema di fondo resta la difficoltà da parte dei protagonisti della Seconda Repubblica di guidare il cambiamento verso la Terza. Dopo un ventennio basato quasi esclusivamente sul pensiero liquido, fondato sul nuovismo e sul leaderismo privo di elementi ideologici o di supporti culturali, e caratterizzato da anatemi moralistici da una parte e da una ossessiva ispirazione anticomunista dall’altra, il risultato è stato il progressivo impoverimento del dibattito politico. Nel nostro sistema bipolare, la destra, priva di visione e totalmente asservita alle voglie del suo padre padrone, ha completamente piegato agli interessi di un solo uomo il senso dello stato perdendo di vista il pensiero liberale, mentre il Pd, spazzato via il pensiero socialista, si è chiuso nel proprio settarismo correntizio, nei giochi di strategia, assumendo un’identità talmente ibrida che per tenere unito il partito ha portato alla completa paralisi.
E’ chiaro a questo punto che, complice la crisi economica e il discredito politico, con questo governo ci troviamo all’atto finale di un processo iniziato anni fa. Si aprono tre possibili scenari: o spariscono definitivamente le differenze tra i partiti tradizionali con l’affermazione del pensiero unico economico-finanziario o il sistema si iberna rimandando il tema di un eventuale cambiamento politico al futuro oppure si prende atto del fallimento di un bipolarismo senza ideologie e inizia una nuova fase di profondo rinnovamento della politica.