Migranti, quanto ci costa respingerli? Intervista a Grazia Naletto
Migranti. La parola d’ordine sembra essere una sola: respingere. È quanto emerge dalla ricerca “Costi disumani”, condotta dall’Associazione Lunaria, sulla spesa pubblica volta a finanziare il contrasto dell’immigrazione irregolare.
Lo studio è giunto alle seguenti conclusioni: le risorse finanziarie impegnate sono state significative, il loro utilizzo non è stato trasparente, i risultati sono stati limitati rispetto a quelli auspicati ed i migranti sono stati esposti al rischio di violazioni dei diritti umani.
Alla vigilia dell’approvazione (avvenuta il 12 giugno scorso, ndr) da parte della UE del nuovo Sistema Europeo Comune di Asilo (CEAS), La Prima Pietra ha intervistato Grazia Naletto, curatrice della ricerca.
Dott.ssa Naletto, la prima domanda: quali sono le tipologie di contrasto alla immigrazione irregolare?
A partire dagli anni ’90, e in particolare con la prima legge organica in materia adottata nel 1998 (L. 40/98), l’Italia ha sviluppato un sistema di governo delle politiche migratorie che ha assunto come priorità il controllo e il contenimento dei flussi migratori. La chiusura e la militarizzazione delle frontiere terrestri e marittime, il respingimento e il rimpatrio dei migranti nei rispettivi Paesi di origine, la costruzione di strutture detentive finalizzate ad accrescere l’effettività dei provvedimenti di espulsione, lo sviluppo di accordi di cooperazione e riammissione con gli Stati di provenienza dei migranti e l’irrigidimento dei sistemi di ingresso regolare sul territorio, sono divenuti gli assi sui quali si sono definite le politiche migratorie.
Quanto costa all’Italia finanziarie le politiche di contrasto?
Devo premettere che abbiamo preso in esame la documentazione ufficiale (rendiconto generale dello Stato, avvisi pubblici per l’affidamento della gestione, alcuni dati pubblicati dalla Corte dei Conti, atti parlamentari) del periodo che va dal 2005 al 2012, analizzando la quale abbiamo stimato un totale 1 miliardo 668 milioni di euro.
Questi ingenti finanziamenti sono stati spesi per il controllo delle frontiere di terra e di mare, l’acquisto di nuove tecnologie ed il sostegno a programmi di rimpatrio.
Dal vostro dossier è emerso tuttavia che tali politiche sono state inefficaci. I migranti allontanati sono Il 39/7% sul totale di quelli irregolari presenti nel Paese. Perché questa inefficacia, secondo voi?
Nell’intero periodo 2005-2011 l’incidenza dei respingimenti, pari al 13,6% e degli allontanamenti, pari al 26,1%, è stata decisamente inferiore rispetto a quella dei migranti che non hanno ottemperato all’ordine di allontanamento (60,3%).
Nel complesso, quindi, coloro i quali sono stati allontanati dal territorio nazionale rappresentano appunto il 39,7% del totale dei migranti rintracciati in posizione irregolare. Tale incidenza, progressivamente decrescente tra il 2005 e il 2008, è tornata a crescere dal 2009, raggiungendo il 53,4% nel 2011, anno in cui nell’ambito della cosiddetta “emergenza Nord-Africa”, vi è stato un dispiegamento eccezionale di uomini e mezzi.
Dunque, per quanto siano state investite nel corso degli anni ingenti risorse per finanziare azioni volte al contrasto dell’immigrazione irregolare, nel controllo dei mari e delle frontiere, nelle attività di controllo dei documenti dei migranti presenti sul territorio, nella gestione dei Centri di Identificazione ed Espulsione, nell’esecuzione dei rimpatri forzati e nella collaborazione con i paesi terzi finalizzata al contrasto dell’immigrazione irregolare, un’ampia parte dei migranti privi di permesso di soggiorno rintracciati dalle autorità non sono stati effettivamente allontanati dal nostro Paese.
Infine, le oltre 134mila domande di emersione del lavoro irregolare straniero presentate nel 2012, a soli tre anni di distanza dal precedente provvedimento adottato nel 2009, confermano che resta molto elevato il numero di migranti privi di titolo di soggiorno invisibili alle autorità finché non viene offerta loro la possibilità di regolarizzare la propria posizione.
Ma questa inefficacia non potrebbe essere altrimenti, visto che la decisione di partire è legata a fattori strutturali come l’assenza di lavoro, le diseguaglianze tra i paesi di partenza e di arrivo e molti altri motivi.
Nemmeno negli Usa si è riusciti a trovare una soluzione per limitare gli ingressi irregolari delle persone provenienti dal sud America. Proprio in questi giorni si sta discutendo di come regolarizzare le presenze dei migranti sudamericani.
Ci spiega da dove provengono i soldi per finanziarie le politiche di contrasto?
Dunque, i fondi si dividono in nazionali e comunitari.
Nello specifico le linee di finanziamento sono: il Fondo Europeo per le Frontiere Esterne, il PON Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno (nazionale), il Fondo Europeo per i Rimpatri (in parte nazionale), il Fondo per le diverse strutture di accoglienza (il rendiconto generale dello Stato non consente di scorporare i costi relativi al funzionamento dei Centri di Identificazione ed Espulsione da quelli relativi al complesso del sistema di accoglienza degli immigrati).
I Centri di Espulsione e identificazione. Anche queste strutture, secondo il vostro dossier, sono una spesa inefficace. Perché? E quali potrebbero essere le alternative a tali strutture?
I costi annui stimati per il funzionamento a regime dei CEI sono di almeno 25,1 milioni di euro. A questi devono però essere aggiunti: i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria, quelli relativi alla sorveglianza dei Centri, e quelli relativi alle missioni del personale di scorta che procede all’esecuzione dei rimpatri coatti. Pertanto la spesa sicuramente riconducibile al sistema di detenzione amministrativa nei CIE è pari ad almeno 55 milioni di euro l’anno. Tuttavia, su 169.126 persone “transitate” nei centri tra il 1998 e il 2012, soltanto il 46,2% del totale sono state e effettivamente rimpatriate.
Spesso succede che le persone trattenute nei CEI ai fini dell’identificazione vi restano fino ai 18 mesi massimi previsti dalla legge. Dopo, se non vengono identificate, devo essere per forza rilasciate, dunque, restano in maniera irregolare sul territorio. Non di rado accade che le stesse persone siano portate più volte nei CEI.
Se si modificassero le norme sull’ingresso ci sarebbero meno presenze nei CEI.
Le politiche di respingimento sono disumane. Come trovare un equilibrio tra il rispetto dei diritti umani e la necessità per il Paese di accogliere un congruo numero di migranti cui poter offrire una vita dignitosa?
L’equilibrio sta in una riforma complessiva della normativa che regoli gli ingressi e le espulsioni. Per esempio va cambiato l’aspetto che riguarda l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Attualmente funziona a chiamata ossia il datore di lavoro chiama la persona nel suo paese. Così non va bene. In Italia di fatto sono stai regolarizzati i migranti che già erano sul territorio.
Noi proponiamo che una persona possa avere il permesso di entrare in Italia per cercare lavoro e che vi possa rimanere un tempo congruo per trovarlo, e quindi per poter regolarizzare in altro modo la propria presenza sul territorio.
Infine, l’emergenza nord Africa si è conclusa. Da migranti in emergenza a migranti irregolari. Cosa non ha funzionato?
Il problema dell’Italia è che si è concentrata principalmente su interventi volti a bloccare l’ingresso dei migranti, e molto poco a stabilire servizi di accoglienza.
Certo, esiste lo SPRAR (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati – la rete degli enti locali che realizza progetti di accoglienza integrata con il Fondo nazionale per le politiche e servizi di asilo, ndr) ma non è sufficiente.
L’accoglienza deve essere intesa in senso più ampio, non solo del primo soccorso ossia tetto e cibo.
Bisogna considerare la persona nella sua integrità e nella molteplicità dei suoi bisogni. È necessario costruire percorsi di inclusione così da rendere autonomi i migranti, e non farli dipendere dagli aiuti pubblici che sono ovviamente limitati.
Per saperne di più: : www.lunaria.org