Parliamo di Grillo
Di Elio Ceglie
Può esserci una trama di invisibili fili che collega due personaggi lontani anni luce e non solo storicamente? Si tratta di Grillo e Mussolini. E’ evidente che l’ipotesi non regge su un piano rigorosamente storico, ma ce ne serviamo per cogliere alcuni elementi comuni di rottura rottura. Lasciamo da parte la recente sociologia politica sul fenomeno del grillismo che si è lasciata andare a giudizi di neo-autoritarismo in formato tecnologico per il M5S, nel quale al rapporto diretto duce-masse si sostituisce il medium tecnologico della Rete, sostitutivo a sua volta di tutti i medium tradizionali quali i partiti e l’intera strumentazione della politica. Sono giudizi fin troppo scontati e ancora di tipo impressionistico, il tempo dirà se il paragone reggerà alla prova dei fatti. Qui è solo il caso di rilevare che c’è un elemento di mussolinismo che si intravvede nelle prime iniziative di Grillo e questo elemento è dato dallo scarto di paradigma che accomuna le due tipologie autoritarie. Mi riferisco allo scarto rispetto a una direzione di marcia già prefigurata dall’establishment, a un disegno pensato dai ceti dirigenti che hanno bisogno di un corpo e una voce di autorevolezza e disciplinamento. Per Mussolini fu così pensato ma non andò nel verso voluto dalle classi dirigenti di un liberalismo infiacchito e non solo dalla guerra. Per Grillo e per il suo movimento di massa è stato predisposto un molo di attracco nella Sinistra larga, ma la flottiglia grillina gira al largo, non tanto perché diffidente ma perché prevede altre rotte di navigazione; anche in questo caso c’è uno scarto imprevisto di direzione. Se Mussolini costruì la Destra federandone i vari pezzi (nazionalismo, dannunzianesimo, avanguardismo culturale, reazione agraria e antisocialista), Grillo vuole decostruire la politica; se Mussolini formò una nuova classe dirigente, Grillo prevede che l’opera di smantellamento del ceto politico (unitariamente inteso perché secondo lui unificato dalla logica politica, dalle stesse leggi della politica) di per sé identifica e qualifica una nuova classe dirigente; se il fascismo creò un blocco sociale (intercettando i primi segnali di cetimedizzazione della società italiana), Grillo pensa che la proposta di modelli di vita e di consumo alternativi sono in grado di formare, accanto a una visione di società, anche un consenso sociale unificato al di là degli “interessi di classe”.
Quanto questo “scarto” dalle categorie tradizionali della politica (l’intransigentismo nel non farsi assorbire e assimilare dalla Sinistra) possa reggere alla realtà che vede, in ogni caso, nella percezione degli elettori di questo movimento, il grillismo come costola del radicalismo di sinistra (per via della persistenza di mitologie antiglobaliste, anticonsumiste, terzomondiste), e soprattutto in che misura questo scarto riuscirà a mettere in crisi il meccanismo della politica impedendone il funzionamento non tanto per via ostruzionistica ma per il suo grado di “alterità”, è nelle vicende (e nelle convulsioni) di questi giorni.
Fatto sta che la crisi che sta colpendo tutte le “casematte” della vita democratica, pare trovare una via d’uscita soltanto al di fuori del perimetro della esperienza politica e soltanto dentro la logica dello “scarto di paradigma”, come le figure di Grillo e Renzi dimostrano. Ma per Renzi si farà un discorso a parte.