L’organizzazione di ogni sistema di welfare, cosiddetto integrato, deve soddisfare alla domanda di disponibilità dell’ammontare del capitale di cui si ha bisogno quando se ne ha bisogno.
Il sistema di welfare del nostro paese risente da tempo di un grave fardello, che è come tutti sappiamo, il peso di un debito pubblico di circa 1.900 miliardi di euro, il 120% circa del prodotto interno lordo.
Le stime 2012 dell’OCSE descrivono, in prospettiva, un sistema europeo in crisi sia sul fronte dell’occupazione, soprattutto giovanile, che della spesa per pensioni. Per quanto riguarda il nostro paese, la recente riforma delle pensioni della ministra Fornero ha prodotto sostanzialmente due effetti: il primo, immediato, a vantaggio dei conti dello Stato, è stato quello di fare cassa; il secondo, a vantaggio dei bilanci futuri di ciascun lavoratore, quello di aumentare il periodo lavorativo e quindi le contribuzioni utili per gli ammontari definitivi della pensione.
Il nesso sinallagmatico, che intercorre tra contributi di lavoro e prestazioni pensionistiche, determina, in via prioritaria, l’assetto del sistema di welfare integrato che presiede all’intero ciclo di vita di ciascun individuo. Nell’ambito di una visione solidaristica, l’elemento preponderante è quello della ripartizione delle risorse disponibili; viceversa, nell’ambito di una strategia individualistica, è preponderante l’elemento della capitalizzazione.
Perché, allora, negli ultimi venti anni è stato necessario provvedere, in maniera piuttosto continua, a riformare il nostro sistema pensionistico? Cosa dobbiamo, o meglio cosa possiamo ancora fare per salvare il nostro sistema di sicurezza sociale?
Se negli ultimi venti anni è stato necessario intervenire più volte, anche duramente, significa che le scelte fatte di tipo non emergenziale si sono rivelate insufficienti se non, talvolta, fallimentari. Se si è scelto, in misura, che ripeto si è resa necessaria, di introdurre nel sistema pensionistico elementi di capitalizzazione (sistema contributivo di calcolo della pensione, tfr e relativo sistema di calcolo nel pubblico impiego, previdenza complementare con sistema a capitalizzazione, etc.), è evidente che – al netto delle variazioni sia dei tassi d’incremento delle retribuzioni che demografici – la strategia di aumentare la produttività del lavoro si è rivelata ed è, allo stato, del tutto insufficiente al mantenimento dell’equilibrio di sistema.
Occorre pertanto puntare sull’incremento della produzione e in tal senso, pertanto, si rendono ancora necessarie sia la riforma del lavoro che quella per lo sviluppo, al fine assolutamente prioritario di attrarre nuovi capitali per la produzione e spingere decisamente sul pedale dell’innovazione.