Più trasparenza, più democrazia
Ci sono due modi per affrontare la questione dei finanziamenti alla politica, che oggi occupano le pagine dei giornali più di ogni altro tema. Si può usare il tema come doping della popolarità, senza porsi necessariamente troppe domande. Oppure si può farlo essendo consci che una quota di finanziamento pubblico ai partiti, per quanto ovviamente ridimensionata in proporzione alle grandi difficoltà economiche degli italiani, può servire a costruire la partecipazione, la trasparenza, la democrazia interna delle forze politiche. Insomma, un nuovo finanziamento, sobrio e ben regolato, deve essere usato congiuntamente ad una regolamentazione che esiga la democrazia interna e partecipata di ogni organizzazione, come quella prevista dall’articolo 49 della nostra straordinaria Costituzione. L’impressione è invece che qualcuno voglia dare in pasto all’opinione pubblica la preda più facile, lasciando che la realizzazione per legge della democrazia interna ai partiti passi nel dimenticatoio.
Chi è, con pochi scrupoli morali e intellettuali, soltanto interessato al’‘effetto doping da facile popolarità, rischia di
riproporre una nuova, grave anomalia (forse la più grave) dopo che il nostro paese ne ha già conosciute di due tipi. Nella Prima Repubblica, l’assenza di regolamentazione cogente della vita democratica interna dei partiti fu figlia della Guerra Fredda. Allora, tra destra e sinistra, la concezione di “partito“ era troppo diversa per convergere davvero in regole comuni. Inoltre, i nostri partiti utilizzarono il finanziamento informale (specie proveniente dalla imprese pubbliche) per garantire la propria indipendenza dalle potenze straniere e dal potere economico. Un sistema che, venendo meno la generazione della Resistenza e deteriorandosi il livello delle classi dirigenti, degenerò poi con tangentopoli. L‘anomalia della Seconda Repubblica, invece, si chiama Berlusconi: è stato principalmente per bilanciare la sua immensa fortuna economico-mediatica che i “rimborsi elettorali“ sono divenuti così lauti. Oggi, questo il punto, gli eccessi quantitativi e morali legati ai “rimborsi”, se usati senza riflettere, rischiano di causare l’anomalia definitiva: lasciare ai rappresentanti delle grandi famiglie, della finanza, dei media, dei poteri forti il campo totalmente libero. C’è il rischio di venire spazzati via da berlusconismi anche peggiori di quello attuale. Eppure basterebbe ragionare: una certa quota di finanziamento pubblico, per quanto ridimensionata, potrebbe essere finalizzata ad ottenere comportamenti democratici limpidi. Infatti, si potrebbe prevedere la decurtazione o l’eliminazione del finanziamento pubblico per un partito dinanzi a violazioni accertate nel tesseramento, o a irregolarità nel finanziamento, o nelle primarie. Non basta: si può prevedere, come in Germania, che una parte del finanziamento pubblico sia proporzionale non ai voti ottenuti, ma alle donazioni documentate sotto forma di piccole somme o quote d‘iscrizione. Ciò incentiverebbe la trasparenza, e privilegerebbe le donazioni piccole (sotto i 200 Euro, per esempio), mentre le donazioni grandi (per esempio sopra i 10000 Euro) dovrebbero comunque essere proibite o fortemente disincentivate. Il modello tedesco, inoltre, destina some elevate alle fondazioni di cultura politica: una sola e definitiva per ogni grande partito. A queste fondazioni è permessa solo un’attività di formazione e cultura politica, mai la propaganda elettorale. Infine, si può esigere che una quota minima ma cospicua del finanziamento vada a costruire la partecipazione dal basso e le sezioni territoriali, ovvero l’unica risorsa che mantiene bassi i costi della politica e che rende riavvicina politica e cittadini: la militanza
Insomma, il finanziamento pubblico, se strettamente legato ad un‘applicazione dell‘articolo 49, e se modernizzato nei termini descritti, può costruire la partecipazione e può indurre i partiti a cercare di nuovo il proprio radicamento sociale, cosa da cui discenderebbe una migliore distinzione dei programmi, delle idee e degli interessi rappresentati: un vero bene per la democrazia come dimostrano ad esempio i paesi nordici e il Regno Unito, in cui la base sindacale ancora sostiene i partiti di sinistra. Va assolutamente evitato, invece, il gioco che si va profilando: quello di una corsa senza scrupoli ad una popolarità senza ragionamento, che apre la strada ad una democrazia omologata e asfittica, con vecchi e nuovi poteri liberi di impedire o consentire la partecipazione a chi vogliono. E invece chi ambisce a guidare una grande democrazia non può che promuoverla e rispettarne i valori: a cominciare dal proprio partito.
Tratto da L’Unità del 11/03/2013