Placido Rizzotto
Il 10 marzo del 1948, a Corleone, il giovane sindacalista della Cgil, nonchè esponente del Partito Socialista, Placido Rizzotto si sta recando ad una riunione del suo partito: è quasi buio, viene aggredito e rapito da un gruppo di mafiosi e sarà poi ucciso brutalmente. Il motivo del suo omicidio è da rintracciare nel suo convinto e coraggioso impegno a favore dei contadini siciliani, penalizzati e ridotti sul lastrico dalla sistematica espropriazione che le cosche mafiose ponevano in essere verso le campagne ed i campi coltivabili. Rizzotto incita i contadini a reagire, ad occupare le terre ed a difenderle, convinto che il lavoro e la giustizia sono due valori assoluti, che devono andare di pari passo e che devono rappresentare il fondamento e l’essenza di ogni vita umana. Da Segretario della locale Camera del Lavoro Placido Rizzotto convince i contadini addirittura ad organizzarsi per occupare le terre già espropriate dai mafiosi: non si limita ad organizzare la reazione ma la guida in prima persona, assumendo su di sè la responsabilità giuridica del gesto e, soprattutto, esponendosi personalmente alla ritorsione dei capi locali. Col suo impegno a favore della gente onesta, Rizzotto infatti si ritrova contro tutte le fazioni mafiose e criminali, ed entra in grave contrasto anche con un giovane di Strasotto che farà una grande carriera in Cosa nostra: Luciano Liggio. La mafia organizza la reazione: nel maggio del 1947 avviene la terrificante strage di Portella della Ginestra, mentre qualche mese dopo, come visto, c’ è il rapimento di Rizzotto il cui corpo fu ritrovato solo mesi dopo, nelle foibe di Rocca Busanbra, dove fu gettato proprio dall’acerrimo nemico Luciano Liggio. Un bambino (il piccolo pastorello Giuseppe Letizia) assistette al barbaro assassino, ma venne ucciso anche lui: la mafia non tollera occhi indiscreti, anche se giovani. Per l’assassinio del piccolo fu incolpato il boss Michele Navarra. Le indagini, coordinate da un giovane Carabiniere che diventerà poi Prefetto di Palermo, Carlo Alberto dalla Chiesa, portano all’arresto di due mafiosi corleonesi: Vincenzo Collura e Pasquale Criscione. Confessarono per poi ritrattare, e vennero assolti per insufficienza di prove. La stessa sorte processuale toccherà per questo reato a Luciano Liggio, che rimase latitante fino al 1964.
Caro direttore, io non ho ancora visto il film «Placido Rizzotto» di Pasquale Scimeca e non posso dare un giudizio sull’opera, ma sono uno dei pochi sopravvissuti che ha conosciuto Rizzotto (in quegli anni ero segretario della Cgil siciliana) e con lui ebbi rapporti intensi, a Corleone e a Palermo, fui io a commemorarlo nella sua città. Le scrivo perché mi ha stupito la risposta del regista ad Ottaviano Del Turco (mi riferisco al «Corriere della Sera» di ieri) il quale faceva notare che nel corso del film non si dice mai che Rizzotto era socialista. La risposta di Scimeca è questa: «Non mi sembra così importante chiarire l’appartenenza ad una sigla». Il Psi non era una sigla e per ricostruire una storia l’appartenenza politica non è irrilevante anche perché – ecco il punto – se il regista avesse letto la relazione di minoranza alla commissione antimafia (febbraio 1976) redatta da Pio La Torre, forse non avrebbe risposto così. Infatti La Torre scriveva: «Nel corso della campagna elettorale (1948) furono commessi alcuni dei più efferati delitti di mafia contro esponenti del movimento contadino. Voglio ricordare in modo particolare tre episodi: Placido Rizzotto a Corleone, Epifanio Lipuma a Petralia, Cangelosi a Camporeale, dirigenti contadini di queste 3 zone fondamentali della provincia di Palermo, e socialiste. Perché tra i socialisti? Gli assassini si susseguirono a distanza di giorni. Vi era stata la scissione socialdemocratica e il movimento contadino restava, invece, unito; occorreva dunque dare un colpo al movimento e la mafia sviluppò una campagna di intimidazione verso i dirigenti socialisti». Se l’analisi di La Torre era giusta, l’appartenenza non era irrilevante. Lo stesso La Torre in quella relazione ricorda che nel processo contro gli assassini di Rizzotto l’imputato Luciano Liggio venne difeso da un avvocato del Psdi, Rocco Gullo. E, aggiungo io, la parte civile fu sostenuta da un avvocato socialista turatiano, Francesco Taormina. Un segno dei tempi. Ma la storia è questa.