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Primarie: Università e Ricerca

L’aspro confronto sul piano personale e su quello delle “regole del gioco” fra i principali Candidati alle Primarie della Sinistra rischia di mettere in secondo piano una ben più seria discussione sui programmi e, quindi, sull’idea di “Sinistra” che i diversi contendenti hanno in mente. E uno degli aspetti che meglio rappresenta le diverse concezioni è senza dubbio legato agli aspetti che riguardano l’Università e la Ricerca. Il modo di concepire l’Università, e più in generale l’accesso all’alta formazione, è dirimente rispetto all’idea più generale di Società che si vuole costruire.

In altri termini: si vuole una Società aperta, nella quale vi sia una elevata mobilità fra le classi e nella quale lo Stato dia veramente a tutti le stesse possibilità iniziali, oppure si vuole un Sistema con rapporti di forza fra le classi congelate, nel quale sia possibile prendere un ascensore sociale solo a pochi fortunati? Messa in questi termini la questione pare semplice: è ovvio che solo la prima è un’idea “di Sinistra”. Tuttavia uno sguardo attento ai Programmi rende la discussione un po’ più complessa.

Qui mi riferirò solamente a quattro dei candidati: Bersani, Renzi, Vendola e Puppato. Ovviamente i primi tre sono i candidati “forti”, quelli dai quali si aspetta un risultato e ai quali si attribuiscono chance di vittoria. Ho scelto di confrontare i loro programmi anche con quello di una outsider perché può essere rappresentativo, come vedremo, di un modo di pensare ormai assai diffuso anche a “Sinistra”.

I programmi sono tutti reperibili sui rispettivi siti web e di semplice consultazione. Purtroppo la smania di semplificazione fa sì che gli stessi siano, in genere, assai scarni, e tuttavia sono al tempo stesso assai chiari.

Pierluigi Bersani presenta le sue idee sull’argomento nella sezione “Sapere”. Questa sezione inizia con una enunciazione di principio “Istruzione e Ricerca sono gli strumenti più importanti per assicurare dignità al lavoro e combattere le disuguaglianze”. Istruzione e Ricerca, dunque, come mezzi per garantire eguali mezzi a tutti, come detto in precedenza. Passando avanti si può leggere “Dobbiamo arrestare l’abbandono scolastico, la flessione delle iscrizioni alle nostre università, la sfiducia dei ricercatori e la demotivazione di un corpo insegnante sottopagato e sempre meno riconosciuto nella sua funzione sociale e culturale”. Discorso che non si riferisce solo all’Università, ma che coglie molti dei problemi attuali. La soluzione proposta da Bersani è assai semplice: non si può più tagliare ma occorre invece invertire il trend e investire nella formazione. Al contempo si suggerisce una attenzione alla modalità di spesa dei nuovi fondi che è tanto semplice quanto auspicabile.

In sintesi per Bersani occorre un significativo reinvestimento nell’Università Pubblica, senza tagli e senza riduzioni ulteriori dell’offerta formativa.

Le idee di Matteo Renzi sull’Università sono in una sezione dall’emblematico titolo “Investire sugli Italiani”. L’idea di fondo proposta da Renzi è che la tanto invocata Crescita sia conseguibile solo attraverso una valorizzazione del Capitale Umano della Nazione, che poi è quello che ha permesso tutti i progressi realizzati dal Paese. E’ interessante osservare come Renzi parli di valorizzazione delle risorse umane come mezzo per conseguire la crescita e non come fine. E’ ovviamente rappresentativo di un diverso modo di pensare: prima dell’uomo il risultato. Vediamo quali sono le idee di Renzi sull’Università. Si parte da una banalità “L’Italia, che in molti settori dell’industria e del commercio è ai vertici mondiali, non è ugualmente rappresentata ai vertici delle classifiche delle istituzioni universitarie e di ricerca. Nelle istituzioni estere che si trovano ai vertici di tali classifiche, invece, lavorano molti ricercatori italiani, incapaci di trovare una posizione adeguata in Italia, mentre – salvo rarissime eccezioni – non si trovano ricercatori stranieri nelle istituzioni italiane”. Il discorso sulle “classifiche” meriterebbe un discorso a parte, e la sua banalizzazione appare quasi come una banalizzazione da bar dello sport. Renzi mette però in evidenza un problema serio, legato alla mobilità in uscita ma non in entrata nel sistema universitario italiano. Dimentica però che, in un sistema cronicamente sottofinanziato, è normale che non vi sia una notevole mobilità in uscita e un eccesso di risorse umane “locali”. E’ ovvio che il problema è ulteriormente amplificato da un reclutamento fatto spesso con mezzi e scelte discutibili, ma non è quella l’origine.

La soluzione di Renzi è strettamente legata al modello già proposto da Pietro Ichino: tasse alte e prestiti al posto delle borse di studio. Dunque un sistema nel quale l’accesso all’alta formazione è consentito ai benestanti, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione, e ai capaci e meritevoli (bisognerebbe capire “quanto” capaci e meritevoli) sarebbe data la possibilità di accedere a prestiti agevolati per finanziarsi gli studi.

Accanto a questo la qualità dei ricercatori e dei docenti dovrebbe essere assicurata “usando indicatori quantitativi sulla qualità della ricerca prodotta sul modello dell’Anvur”. Su quest’ultimo punto basta solo segnalare come l’uso degli indicatori quantitativi da parte dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca (Anvur) si stia rapidamente trasformando in una farsa.

Nichi Vendola  presenta un approfondimento maggiore rispetto agli altri sulle tematiche Istruzione e Ricerca. L’approccio è semplice: partendo dalla presa d’atto del sottofinanziamento del sistema Vendola vuole invece garantire un adeguato finanziamento. Inoltre c’è una enunciazione di principio più chiara di quella presente nel programma di Bersani: “Noi vogliamo rilanciare il ruolo strategico dell’Università e della Ricerca: questi devono essere nuovamente considerati beni pubblici essenziali, sia in quanto strumento di arricchimento culturale e di innovazione scientifica e tecnologica, sia quali motori di mobilità e trasformazione sociale”. Università e Ricerca come beni comuni, dunque, e come mezzi per favorire la mobilità tra le classi. Al contempo Vendola non vuole un banale ritorno allo status quo pre-Gelmini, ma fa alcune proposte assai significative, quali l’abolizione del numero chiuso per l’accesso alle Università e un rigoroso tetto alle tasse universitarie.

Per quanto riguarda la valutazione dell’Università e della Ricerca, Vendola propone un ripensamento del ruolo e dei metodi dell’Anvur, per passare da un sistema che, ad oggi, vuole essere solo punitivo e che, in definitiva punta alla contrazione dell’offerta, a un sistema assai più condiviso e trasparente.

Laura Puppato  dedica 15 righe a Università e Ricerca, e la sua proposta non fa che riprendere il cuore di quella di Pietro Ichino: “L’Università sotto casa non è un vantaggio né un diritto. Come è stato fatto per la Sanità – pochi grandi Ospedali con prestazioni di eccellenza – si deve puntare a un adeguato numero di Università, dotate di strutture e docenti di prim’ordine. Con i risparmi derivati si deve intervenire subito per ridurre le rette universitarie e i costi dei convitti per gli studenti fuori sede”.

L’adeguato numero farebbe la differenza nel discorso della Puppato. L’adeguato numero è 3 oppure 30? Per gli studenti fuorisede il problema non è il costo delle tasse (rette???) universitarie, né quello delle case dello studente (convitti???), quanto piuttosto la ridottissima offerta di posti in queste ultime, con la necessità di rivolgersi al costosissimo mercato degli affitti. Il risultato finale, come per la proposta Renzi, è una Università per benestanti e per pochi “capaci e meritevoli”.

In sintesi troviamo due diametrali concezioni nei programmi di Bersani e Vendola da un lato, di Renzi e Puppato dall’altro. Da un lato una Università come mezzo di crescita sociale, come opportunità di migliorare il proprio status, dall’altro una Università sostanzialmente per le élite, di meritevoli certo ma anche di incapaci con l’unico merito di avere genitori in grado di sostenerli. Resterebbe fuori tutta la massa di giovani mediamente capaci e, in buona parte, assai volenterosi, ma purtroppo sprovvisti di mezzi. Il tutto a riportare il quadro dell’Università e in generale della Società al 1967.

L’idea di “Sinistra” che ne viene fuori è assai differente, anzi forse l’idea di “Sinistra” di Renzi e Puppato non è affatto un’idea di Sinistra. Appare almeno sconcertante che i “nuovi” candidati abbiano su questo tema idee che piuttosto si collocherebbero correttamente a Destra e probabilmente una seria riflessione sul tema sarebbe importante.

Chi scrive riconosce in particolare al candidato Renzi di aver posto il problema del ricambio del gruppo dirigente della Sinistra Italiana  come cruciale. Tuttavia questo ricambio non può essere accompagnato da uno svuotamento del concetto di Sinistra. Vi sono idee, come quella di garantire eguali opportunità a tutti i cittadini, inserite anche nella Costituzione, alle quali non si può e non si deve derogare. Altrimenti si rischiano scivoloni come quello di schierarsi (salvo poi ricredersi) senza se e senza ma dalla parte di chi vuole costruire un’Italia ben diversa da quella che conosciamo, ma non per questo migliore.

Scritto da

Angelo Leopardi

- Ricercatore di Idraulica all'Universita' di Cassino. Si occupa anche dei problemi dell'universita' e della ricerca in Italia.