Questa o quella legge elettoral per me pari son?
Chi sa Napolitano, Renzi, Letta, Berlusconi e Grillo cosa stiano pensando di Aldo Bozzi. Certo chi fra questi politici avesse voluto correre rapidamente alle urne starà maledicendo l’ottantenne testardo avvocato milanese che ha cambiato il corso della storia d’Italia, introducendo il ricorso di incostituzionalità sul Porcellum così come dichiarato illegittimo dalla Consulta lo scorso 4 dicembre 2013. Viceversa staranno elevando accorate preci al cielo per la sua salute tutti coloro che anelino a non votare per un nuovo Parlamento durante l’anno di grazia 2014, in testa Re Giorgio e i capi del Governo Alfetta ovvero il Principe Enrico Letta Primo e il suo fido Vice Angelino Alfano da Girgenti, nonché tutti i deputati e senatori di prima nomina che sperano di sedere sui loro seggi per almeno metà della legislatura in modo da guadagnare il minimo pensionabile.
Sta di fatto che l’avvocato Aldo Bozzi l’abbia avuta vinta su tutta la linea.
Le sue osservazioni sulla legge elettorale Calderoli, fortemente voluta nel 2005 dall’allora premier Cavalier Silvio Berlusconi, sono state recepite dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato “l’illegittimità delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza (sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione”. La Corte ha altresì proclamato “l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali ‘bloccate’, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza”.
Testualmente così recitava il comunicato del “Giudice delle Leggi” limitandosi – come è prassi nell’immediatezza della pronuncia – a fornire il mero dispositivo della sentenza e rinviando agli idonei tempi tecnici la pubblicazione delle motivazioni.
Apprendiamo che il 27 gennaio 2014 si incardinerà presso la Camera dei Deputati la discussione della nuova legge elettorale, così come raccomandato di provvedere nella medesima sentenza. Per votare in primavera sarà necessario mettere in moto la macchina parlamentare con alacrità in modo da predisporre una normativa che sia esecutiva prima o contemporaneamente alle votazioni per l’Europarlamento. Fioriscono già da ora, sebbene ancora in attesa delle spiegazioni autentiche sull’ incostituzionalità della legge, varie ipotesi di nuove regole elettorali, intelligentemente racchiuse dal neo segretario democrat in tre pacchetti, offerti – pur di trovare un accordo – in scelta indifferente agli altri partiti, come in un sorteggio alla mano del bambino bendato. I bussolotti da estrarre sulla ruota di Montecitorio contengono tre numeri: il primo porta al modello spagnolo, che potremo battezzar simpaticamente “Matadorum”; il secondo ci rituffa nel Mattarellum, ma si badi soltanto se “corretto” come un caffè con un goccio di whisky; il terzo si atteggia a Sindaco d’Italia con sede a Palazzo Chigi.
Una riflessione preliminare
Prima di addentrarsi nella selezione fra le tre proposte sarebbe sensato capire il dettaglio delle censure mosse dai giudici della Consulta al giustamente vituperato Porcellum. In altri termini, viene spontaneo chiedersi: non sarebbe prudente approfondire analiticamente i profili ritenuti dalla Corte in contrasto con la Carta? Intraprendendo la corsa dell’asino non si rischia di cadere in medesime violazioni del precetto costituzionale? Non converrebbe leggere compiutamente le motivazioni della sentenza?
Conoscere il merito del ragionamento dei giudici costituzionali potrebbe aiutare a confezionare un assetto normativo conforme ai principi della Carta. Esigenza, quest’ultima, ancor più pressante se solo si passino alla lente di ingrandimento i caratteri distintivi dei tre pacchetti elettorali schierati da Renzi sul tappeto. Considerata l’oggettiva difficoltà a tracciare la “O” di Giotto, il gioco da vincere sta correttamente in questo: bilanciare le esigenze del cosiddetto “Voto Governante” (a cui si è ispirata l’evoluzione anti-proporzionalista della legislazione elettorale italiana dal Referendum Segni ad oggi) con un premio di maggioranza confinato nei limiti della ragionevolezza e con il rigetto delle cosiddette “liste bloccate”.
Ora mentre è più agevole rintracciare le cause della illegittimità di un premio di maggioranza così come congegnato nella legge Calderoli, molto più impervio è stabilire, allo stato attuale della scarna indicazione del dispositivo della sentenza, quali valori abbia voluto tutelare la Corte bocciando le “liste bloccate”. Sul primo punto, ci aiuta l’ordinanza con la quale la Cassazione ha rimesso la questione di costituzionalità alla Consulta, accogliendo il ragionamento dell’avvocato Aldo Bozzi, che se fosse rimasto zitto e fermo al posto suo, senza lanciarsi nella sua battaglia di democrazia, avrebbe consentito a Renzi, Grillo e Berlusconi di aprire il torneo del voto già da subito, con il privilegio di continuare a nominare con il dito del signore i parlamentari anziché farli eleggere dal popolo sovrano. La Corte di cassazione nel l’ordinanza del 17 maggio 2013 osservò che la violazione “dei principi di ragionevolezza e uguaglianza del voto è per il Senato ancora più evidente se si considera che l’entità del premio, in favore della lista o coalizione che ha ottenuto più voti, varia regione per regione ed è maggiore nelle regioni più grandi e popolose, con l’effetto che il peso del voto (che dovrebbe essere uguale e contare allo stesso modo ai fini della traduzione in seggi) è diverso a seconda della collocazione geografica dei cittadini elettori”. In altre parole, poiché nelle regioni più popolose si elegge un numero superiore di senatori, nel momento in cui scatta il premio di maggioranza al 55% per la lista che ha riportato anche un solo suffragio in più delle altre, il voto dei cittadini delle grandi regioni sposta maggiormente l’equilibrio numerico degli eletti rispetto alle regioni piccole, dal momento che tutti i senatori vanno poi a sedersi in una sola Camera ricomponendo l’unità sulla base di un trattamento di fatto disparitario degli elettori.
Più complesso è verificare se il semaforo rosso alle “liste bloccate” dipenda da una opzione pregiudiziale a favore delle preferenze ovvero sottenda più genericamente una necessità di collegamento della rappresentatività fra elettori ed eletti azionabile anche con sistemi alternativi, ad esempio i collegi uninominali, dove il controllo del corpo elettorale sul candidato è garantito dalla circoscritta ampiezza della platea chiamata al voto (qualcuno già parla di preferenza indiretta). D’altronde il Senato della Repubblica fino al 1992 veniva eletto con sistema proporzionale a collegi uninominali e metodo d’Hondt senza che mai si sia sospettato della costituzionalità di tale meccanismo. Su tutto aleggia una ulteriore questione preliminare che può ancora una volta sciogliersi solo leggendo le motivazioni per tabulas, a meno di non voler correre il rischio di intuizioni spregiudicate: che tipo di sentenza ha emesso la Corte? Una sentenza di accoglimento (totale o parziale) o manipolativa (additiva)?
Da questo dipende un secondo giudizio di valore: il Porcellum sottoposto alle censure della Corte mantiene una autosufficienza normativa? È cioè capace di governare con il complesso di regole sopravvissute la materia elettorale? A sua volta il corpus legislativo superstite implode sull’evocato piano della ragionevolezza o regge sotto il profilo tecnico almeno in astratto, tanto da assicurare la agibilità di nuove elezioni?
Di certo, il venir meno del “premio di maggioranza” di per sé non rende inapplicabile la legge elettorale, riportando l’attribuzione dei seggi in un regime proporzionale puro dove rimarrebbe tuttavia il limite degli sbarramenti percentuali verso il basso (le soglie del 2%, 4% e 8%).
Un eventuale punto di caduta starebbe nelle liste bloccate. E se l’interpretazione della sentenza fosse nel senso di stabilire l’illegittimità “nella parte in cui” (come si usa dire) la norma non dispone l’obbligo di preferenze? Potrebbe essere questo un effetto “additivo” della sentenza? È difficile rispondere, ma immaginare una automatica funzionalità della legge Calderoli non solo priva del premio, ma anche arricchita d’imperio di preferenze appare piuttosto arduo. Anche perché al di là dell’indicazione del principio giuridico è insostenibile che la sentenza possa aver innovato la normazione con dettagli di calibro molto specifico (fino quante preferenze per circoscrizione? Con numeri, senza numeri? Solo con nomi per esteso?).
Appare dunque complicato sostenere l’autosufficienza del Porcellum censurato e ancor più problematico è credere nella reviviscenza naturale della precedente normativa, in quanto abrogata probabilmente per effetto di parte della legge non messa in discussione dalla Consulta: non è detto cioè che l’incostituzionalità della legge Calderoli equivalga al ritorno della legge Mattarella.
Dunque la legge elettorale è necessaria, ma proviamo brevemente a vedere se i tre bussolotti di Renzi – senza aver ancora letto le motivazioni – siano astrattamente compatibili con il ragionamento della Consulta. Nel contempo occorre verificare se ciascuna delle tre opzioni assicuri il voto governante e in questo senso è altrettanto necessario controllare se venga assicurata omogeneità di maggioranze fra le due Camere (anche se sul punto sorge spontanea un’altra questione: se si vuole abolire il Senato con riforma ex articolo 138 della Carta, che bisogno c’è di scrivere una legge per entrambi i rami del Parlamento? Si mandi prima in pensione il Senato e poi si faccia una legge elettorale monocamerale…).
I tre bussolotti sulla ruota di Montecitorio
MATADORUM: secondo il modello spagnolo il territorio italiano verrebbe suddiviso il 118 piccole circoscrizioni che esprimano liste corte da un minimo di quattro a un massimo di cinque deputati. Soglia di sbarramento al 5% e premio di maggioranza del 15% (cioè 92 deputati). Qui il premio sembra rientrare nei canoni della ragionevolezza. Dalle simulazioni degli esperti sembrerebbe però che questo fra i tre sistemi sia l’unico in grado di garantire una vera maggioranza. Ma ciò varrebbe al prezzo del fondato sospetto di illegittimità delle liste bloccate senza preferenze, benché corte?
MATTARELLUM CORRETTO: soglia del 4%, i tre quarti dei seggi (il 75%)verrebbero attributi con il maggioritario secco su 475 collegi uninominali, mentre il restante 25% verrà suddiviso in un primo 15% destinato alla coalizione (o partito) vincente quale premio di maggioranza e il 10% attribuito ai perdenti quale diritto di tribuna. Anche qui il premio di maggioranza sarebbe “ragionevole” e non sproporzionato come nel Porcellum, mentre le opposizioni numericamente più consistenti si vedrebbero supportate dal diritto di tribuna. Come valutare l’assenza di preferenze del listino? Torniamo sempre a bomba: capire se, nel suo complesso, il principio di collegamento della rappresentatività fra eletti ed elettori sia garantito. Inoltre, ricordando il caso Sicilia, quando tutti i collegi uninominali della regione furono appannaggio del centrodestra, le minoranze proporzionali (anche forti) appaiono – per usare nuovamente il canone giurisprudenziale della ragionevolezza – sufficientemente tutelate dal solo diritto di tribuna? Inoltre non è detto che il premio di maggioranza del 15% consenta di raggiungere maggioranze parlamentari autonome (si pensi a un primo partito sotto il 30%come avvenuto lo scorso febbraio).
SINDACO D’ITALIA: soglia di sbarramento al 5%, se nessuno raggiunge la maggioranza assoluta al primo turno, vanno al ballottaggio i migliori due. Chi vince porta a casa il 60% dei seggi al secondo turno. Andrebbero definito se accompagnare il sistema con collegi uninominali, preferenze vecchia maniera o liste bloccate corte, opzioni al momento non prestabilite e occorrenti di ovvia e faticosa ulteriore negoziazione. Sembrerebbe il modello preferito da Renzi, ma sconta il difetto principale (a tacere della incertezza sulle tre opzioni per la designazione degli eletti) delle elezioni comunali: l’inserimento dei mini partiti (penalizzati dal voto) nel ballottaggio ai fini delle trattative sulla governabilità. Inoltre, qui nei fatti il premio di maggioranza (che si digerisce più facilmente in ambito comunale per le esigenze di una mimi istruzione cittadina) potrebbe diventare di nuovo sproporzionato e infrangere la barriera dell’uguaglianza del diritto di voto fra elettori.
Questioni complesse, come si vede, ma basta la mano fatata di un innocente a scegliere come indirizzare il Parlamento della prossima legislatura? Forse ci vorrebbe un altro colpo d’ala dell’avvocato ottantenne Aldo Bozzi, sempreché per la sua veneranda età non meriti la rottamazione…
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