Recuperare le istanze delle persone …
…è questa la sfida che attende i partiti
di Gianluca Daniele*.
Il tema della rappresentanza politica e sindacale ha acquistato, negli ultimi mesi, un rilievo di carattere nazionale e sta diventando centrale nel dibattito politico e culturale del nostro Paese. La crisi economica, sociale e morale, che ha investito l’Italia negli ultimi anni, sta provocando uno sconquasso anche sul quadro politico e istituzionale. La delegittimazione dei partiti politici e, di conseguenza, delle istituzioni sta raggiungendo livelli insostenibili, devastando la politica e creando le condizioni di una sostanziale perdita di credibilità dell’intero assetto istituzionale. Il fenomeno, purtroppo, non è limitato all’Italia e, con accenti diversi, ha toccato nelle recenti elezioni altri paesi europei come la Grecia, la Francia e la Germania, nei quali forze populiste, estremiste, antieuropee, hanno visto notevolmente accrescere i propri consensi a discapito dei partiti tradizionali. E’ di tutta evidenza che il fenomeno in Italia viene ingigantito dagli errori commessi dalla politica degli ultimi anni e dall’incapacità di autoriformarsi che ha avuto il suo massimo epilogo nella nascita del governo Monti. La miopia dei nostri partiti ha impedito di dar vita ad una necessaria riforma istituzionale, di modificare l’inaccettabile sistema elettorale dei nominati, di dare attuazione all’articolo 49 della Costituzione sulla forma partito: tutte riforme da sempre invocate e mai realizzate per il gioco dei tiri incrociati. In questo quadro, a mio avviso, al di là delle giuste riforme, si è creata una profonda discrasia tra le classi dirigenti e i cittadini e andrebbe, in qualche modo, analizzato il rapporto tra i partiti politici (purtroppo anche quelli di sinistra) e la propria base. Negli ultimi venti anni, a partire da tangentopoli e dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, si è irresponsabilmente affermata l’idea che la mediazione tra le istanze sociali ed i partiti fosse un’inutile perdita di tempo e il rapporto personale, quotidiano, nei luoghi deputati per la discussione politica, fosse un inutile orpello della prima Repubblica. Questo errore, soprattutto per il centrosinistra, è stato esiziale. Infatti, alle idee si sono sostituite le fazioni e si è giunti ad una personalizzazione della politica che sta provocando lo svilimento della partecipazione. La sfida che attende i partiti nei prossimi mesi è il recupero delle istanze vere delle persone e il rimettere al centro della propria iniziativa le condizioni materiali dei tanti che sono stati colpiti dalla crisi e dalle politiche di rigore ispirate dai mercati finanziari. Guai a pensare, soprattutto per le forze che si richiamano ai valori democratici e progressisti, che dalla delegittimazione generalizzata della politica e dei corpi intermedi possa derivare un vantaggio per le classi più deboli. È storicamente dimostrato come da fenomeni qualunquisti e demagogici spesso siano emersi movimenti reazionari e antidemocratici. Purtroppo, lo scenario nel quale ci muoviamo comporta un forte indebolimento dal punto di vista della rappresentanza di tutti i corpi intermedi con fenomeni di grande messa in discussione anche dell’intermediazione sociale. Il ruolo del sindacato nel nostro Paese è stato decisivo per le sorti della democrazia ed in particolare per il progresso del mondo del lavoro, avendo sempre come caposaldo l’autonomia dai partiti ma mai dalla politica, intesa come capacità di interpretare i bisogni collettivi in termini generali. È naturale, e questa discussione attraversa tutti i sindacati confederali, che i mutamenti del mondo del lavoro e della produzione, la globalizzazione, l’innovazione tecnologica hanno profondamente cambiato le istanze del mondo del lavoro ed hanno reso necessaria una profonda rivoluzione del ruolo e del modello organizzativo del sindacato. Emerge, in tutta la sua evidenza, la crisi del modello fordista in- La delegittimazione della politica e dei corpi intermedi non porta vantaggi per le classi più deboli della società Recuperare le istanze delle persone è questa la sfida che attende i partiti 6 7 il punto capace di intercettare le nuove domande provenienti dal lavoro e appare evidente la necessità di introdurre forme di rappresentanza diverse, più partecipative e più aderenti alle nuove generazioni. Un modello nel quale i luoghi di lavoro sono parcellizzati e l’incrocio con nuovi bisogni avviene con linguaggi e modalità non più tradizionali. Acquistano sempre maggiore rilievo temi generali quali il fisco, il welfare, la cultura, la casa, la sicurezza, la vivibilità, questioni trasversali, presenti in tutte le grandi aree urbane e che necessitano, da parte del sindacato, di una competenza e capacità di contrattare il sociale e di contrattare nel territorio: è una nuova frontiera. Nel quadro della battaglia volta a recuperare legittimazione nei luoghi di lavoro, assume un grande rilievo la valorizzazione che la Cgil ha messo al centro della propria piattaforma dell’estensione e del riconoscimento dell’elezione dei rappresentanti sindacali unitari e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, grande strumento di democrazia sindacale in grado di monitorare, in maniera effettiva, il consenso delle organizzazioni sindacali, la legittimazione dei propri rappresentanti e la capacità di essere rappresentativi ai tavoli di trattativa. In un Paese nel quale spesso si delega per cooptazione o per nomina, il fatto che, nella stragrande maggioranza delle aziende italiane, si eleggano a suffragio universale i rappresentanti dei lavoratori, deve essere considerato uno straordinario momento di democrazia ed un valore assoluto in relazione al rapporto tra iscritto, lavoratore e propri rappresentati. Sono questi strumenti, come anche la possibilità da parte di tutti lavoratori di approvare piattaforme e contratti, che continuano a far vivere, in un quadro di grande difficoltà, il rapporto con la nostra base. Un esempio di riforma, che poteva aprire un’importante stagione di innovazione e di sintonia con il nuovo mercato del lavoro, è la riforma del mercato del lavoro. Il governo ha deciso che la concertazione è morta e che, non si sa per quale principio, il fatto di operare senza ascoltare le parti sociali di per sé fosse un valore inestimabile. Alla fine si è prodotta una riforma abbastanza inutile e per alcuni aspetti dannosa. Nonostante si ritenesse necessaria, anche se non così urgente (visti gli innumerevoli problemi che i 4 anni di crisi hanno generato), allo stato attuale bisognerebbe essere dei grandi ottimisti per credere che questa riforma del mercato del lavoro realizzerà un sistema “dinamico e inclusivo, idoneo a contribuire alla crescita di occupazione di qualità”, come afferma la relazione al disegno di legge approvato il 23 marzo dal governo. Tanti ancora, infatti, sono i punti su cui bisognerebbe lavorare: su tutti estendere l’inclusione degli ammortizzatori sociali alle nuove forme di lavoro e il contrasto alla precarietà che purtroppo è stato fortemente indebolito dalle modifiche parlamentari. La riforma del mercato del lavoro si è considerata necessaria, nella certezza che si determinasse un miglioramento della situazione relativa al tasso di disoccupazione che, nel primo trimestre 2012 risulta al 10,9%, ovvero il più alto dal 1999. La situazione si complica drasticamente se si guarda ai dati del Mezzogiorno ed in particolare alle donne: nel Sud infatti una giovane donna su due non lavora. Per quanto riguarda i giovani, invece, nel primo trimestre del 2012, secondo l’Istat, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale al 35,9%, il dato peggiore dal primo trimestre del 1993 (inizio della serie storica), toccando un picco del 51,8% per le giovani donne del Mezzogiorno. Una situazione a dir poco drammatica. È di tutta evidenza che anche questa riforma accentua il divario tra i cittadini e le istituzioni. Come ripetiamo ormai da mesi, la vera riforma necessaria è quella in grado di creare sviluppo e occupazione e, soprattutto, in grado di abbattere il divario che esiste tra il Nord ed il Sud del Paese, creando le condizioni per il rilancio del Mezzogiorno, quale condizione necessaria per la crescita dell’intero Paese.
*Segretario della Camera del Lavoro Metropolitana di Napoli