Renzi, Cuperlo e il Centralismo Democratico
Si potrebbe dire: chi di centralismo democratico colpisce, di centralismo democratico perisce.
Anche se, in verità, il fondatore del Partito Comunista, Antonio Gramsci, nel 1923 quando scelse la sua linea centrista, non auspicò né l’allontanamento né ricorse all’espulsione nei confronti di Amedeo Bordiga e di Angelo Tasca.
Non è, dunque, il caso di riesumare il centralismo democratico per le dimissioni di Gianni Cuperlo da presidente del Pd: “[…] sono colpito e allarmato da una concezione del partito che non può piegare verso l’omologazione, di linguaggio e pensiero. Mi dimetto perché voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso”.
Si è ben oltre il centralismo democratico, che consentiva il dibattito anche se poi alla fine prevaleva sempre ‘il principio’ del Partito, ossia la sua unità, per cui a ricorrere alle brevi vie dell’espulsione fu nel ‘56 Palmiro Togliatti nei confronti degli intellettuali che criticarono l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss. E anni dopo Luigi Longo, con l’espulsione del gruppo del ‘Manifesto’.
Oggi si é davanti ad una gestione personalistica del Partito democratico da parte di Matteo Renzi, anzi, per usare le parole del dimissionato Stefano Fassina, vittima del brutale ed arrogante, ‘Fassina, chi?, al rischio di “una deriva padronale e plebiscitaria […] Non è un problema di critiche nel merito, ma di uno sconfinamento sul piano personale che dimostra una insofferenza alle posizioni diverse dalle proprie”.
E’ del tutto evidente e chiaro l’obiettivo di Renzi che, proveniente dal mondo cattolico, vuole asfaltare quanto resta nel Pd della cultura ex-comunista in nome di un vago ed indefinito ‘riformismo’.
Per restare nella storia della sinistra – salvo citare, en passant, il ‘che fai, mi cacci?’ di Gianfranco Fini a Silvio Berlusconi – il 23 dicembre 1979 comparve sull’Espresso “[…] questo Bettino non e’ un leader, e’ un Fuhrerprinzip […] incompatibile con il partito socialista: da Turati a Nenni il dirigente piu’ autorevole del Psi e’ sempre stato il piu’ condizionato”, di Riccardo Lombardi che poi si dimise da presidente del Comitato Centrale del Psi il 14 marzo 1980, all’indirizzo, appunto, di Bettino Craxi.
La polemica dell’Ingegnere ‘acomunista’ salì di tono: dal “un pateracchio”, l’autoriforma del 1981 con cui Craxi impose che il segretario venisse eletto non più per votazione ma per acclamazione, al celebre, “un Psi cosi’ non ha motivo d’esistere” del 30 giugno 1984, quando, ormai compiuta la tremenda ‘mutazione genetica’, “siamo diventati il partito delle tavole rotonde”, si dovette attendere pochi anni per averne la dura conferma da Tangentopoli che asfaltò il Psi. Non solo, ma asfaltò la parola stessa ‘socialismo’che non ricomparve, nel dibattito culturale e politico, neanche dopo il fallimento del mito dell’Urss e del comunismo storico, finiti sotto le macerie del Muro di Berlino.
Fu in quegli anni che, tra il fallimento del comunismo storico e gli esiti disastrosi di Tangentopoli, l’ex-Pci perse l’occasione d’oro di dar vita ad un partito progressista e riformista inserito nel socialismo europeo, scegliendo la fusione a freddo con pezzi e pettini della grande ‘balena bianca’, la ex-Dc, insieme al ‘vento d’Oltre Manica’ del neoliberismo di Tony Blair che, nel recitare il de profundis del ‘socialismo’, diceva: ‘destra e sinistra’ sono termini obsoleti, non esistono più.
E, sempre in quegli anni, nel 1994, una ‘discesa in campo’ inarrestabile portò al potere Silvio Berlusconi. Un evento che fece urlare “Non c’é speranza…l’Italia é un paese di destra”, al filosofo ‘azionista’ Noberto Bobbio che si diede le dimissioni dal suo Paese, tanto se ne sentiva estraneo, lasciandogli in eredità il fortunatissimo pamphlet ‘Destra e sinistra’ in cui gli spiegava: “La discussione sul presunto superamento di concetti come ‘destra’ e ‘sinistra’ ha un difetto di fondo: quello di indurre a credere che, nel mondo di oggi, ci sia bisogno di meno politica di quello di una volta, ossia di meno ideologia, meno partiti, meno governo, come se tutto dipendesse dall’essere disponibili o contrari al cambiamento, inteso come generale progresso dell’umanità, [mentre] i problemi globali dimostrano che solo un intervento collettivo di sana governance può mettere il nostro pianeta sulla strada giusta”. E, severamente, lo redarguiva ricordandogli il valore insopprimibile dell’uguaglianza che, legandosi con l’altro valore inalienabile: la libertà, restava e resta, al di là delle elucubrazioni dell’intellighenzia ‘nuovista’ e ‘blairiana’, “il nucleo irriducibile, ineliminabile e come tale sempre risorgente, insieme ideale, storico ed esistenziale”. Come, “quello che importa, in questo riaffiorare di miti consolatori ed edificanti, è […] restituire, insomma, agli uomini, l’un contro l’altro armati da ideologie in contrasto, la fiducia nel colloquio, di ristabilire insieme col diritto della critica il rispetto dell’altrui opinione”.
Cuperlo e Fassina, e con essi la minoritaria ‘sinistra’ del Pd, oggi rimpiangeranno quel gentiluomo ‘giellista’ di Bruno Trentin che preferiva la ‘federazione’ a un immaginario e indefinito Pd, perché “[…] comprendo perfettamente la preoccupazione di De Mita di non finire almeno per ora nell’Internazionale socialista. Sono però sicuro che De Mita comprenderà le intenzioni di persone come me di partecipare a questo processo unitario e nello stesso tempo di morire socialista. Comprendo Chiamparino, quando si dichiara il sindaco di tutti e conseguentemente un uomo di centro ma credo che non debba dimenticare che è stato eletto sulla base di un programma anche nazionale che sa distinguere tra operai e banchieri, fra salario, profitto e rendita”.
Ad essi e ai socialisti ‘senza fissa dimora’, a quanti/e si sono fatti/e incantare dal boyscout clericale che con i ‘cimiteri per feti’, ha ridato voce e ruolo a un pregiudicato, Berlusconi, con l’alibi di una legge elettorale confezionata per il suo Pd a ‘vocazione maggioritaria’, ma anche per Forza Italia, questo mirabile 2014 propone tre splendide e straordinarie ricorrenze: il 90esimo della fondazione dell’Unità di Antonio Gramsci, il 30esimo della cremazione senza riti religiosi di Riccardo Lombardi e il decennale della morte con riti laici di Noberto Bobbio. Da queste tre ricorrenze, c’é materia sufficiente, abbondante, se lo si vuole, per superare l’anomalia patologica italiana: non avere un grande partito progressista, laico e di sinistra, inserito nel socialismo europeo. Questa operazione, già riuscita a Francois Mitterand in Francia nel 1971 ad Epinay, ha bisogno di una cultura e di un pensiero nuovo su alcuni valori base: libertà, uguaglianza, laicità e giustizia sociale, ma soprattutto di motivazioni forti, come quella scritta, nelle Lettere dal carcere, da Gramsci: “La mia posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l’eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo…”.