Ricordo di Matteo Cassese. Un socialista, un galantuomo.
Scrivo queste poche righe per ricordare un grande medico, una straordinaria ed importante figura del socialismo di Napoli, soprattutto un grande uomo a cui devo molto. Un galantuomo.
Matteo Cassese è stato per me un maestro oltre che parte di una famiglia che sebbene non di sangue, aveva legami altrettanto forti creati in tanti anni di battaglie politiche condivise nel nome del socialismo italiano, insieme ai tanti compagni della sezione PSI “Turati” del Vomero,tra cui i miei genitori.
Io ho avuto la fortuna di essere tra i “giovani” con cui Matteo si è adoperato per portare avanti ideali che non rimanessero solo astratti, ma da rendere concreti in atti di vita quotidiana. Questo era Matteo, non solo un grande esponente socialista bensì un uomo che aveva fatto di una cultura politica un metodo di vita.
Questo metodo di vita te lo insegnava sia le volte che si era in accordo su un tema sia, soprattuto ( a dire il vero la maggior parte delle volte), in cui si discuteva in disaccordo.
Con Matteo entravi nelle discussioni pieno di convinzioni e ne uscivi altrettanto pieno di spunti di riflessione critica a quello che avevi fino ad un secondo prima creduto insindacabile.
Non può esserci politica buona, nè tantomeno azioni conseguenti senza la continua critica a ciò che si crede, perché nulla è immobile ed intoccabile e, se lo diventa, assume contorni pericolosi.
Matteo te lo diceva in continuazione, convinto com’era che potevi batterti per qualcosa solo se avevi la mente libera da qualunque dogma: in questo stava per lui l’essere socialisti, ovvero nella necessità di avere una mente critica, libera, lontana da pregiudizi e posizioni di principio, senza mai in alcun modo ammainare bandiera dei propri ideali di libertà,giustizia sociale ed uguaglianza.
Questi ideali li rendeva vivi ogni volta che metteva a disposizione di chiunque la sua enorme statura professionale di grande medico. Infatti Matteo è stato il padre nobile della chirurgia maxillo-facciale del Cardarelli, eppure la sua esperienza era accessibile a chiunque, in ospedale o in sezione perché, diceva, se vuoi essere coerente e chiedere uguaglianza e solidarietà per chi ha di meno devi tu per prima far qualcosa, sacrificare un po’ di te per darlo a qualcun altro.
Questo era Matteo Cassese, come tanti di una generazione a cui oggi troppo spesso ci si rivolge con irriverenza piuttosto che con gratitudine e rispetto.
Quando si ricorda qualcuno spesso si tende ad esaltarne le virtù, spesso in modo un po’ forzato, ma chiunque abbia conosciuto Matteo Cassese sa che queste poche righe sono inadeguate a descriverne la straordinaria umanità ed intelligenza politica.
Pochi giorni prima della sua fine ero a casa sua per scrivere un nuovo documento politico da pubblicare su questa rivista, io senza tessera di partito e lui esponente del vomero di
SeL, nonostante i suoi anni e soprattutto il male.
Non esisteva nulla di più importante dell’impegno civile, dell’agire politico. Altro che rottamatori, altro che rivoluzionari del “potere operaio” con il portafogli pieno e il pantalone stracciato.
Matteo lo ha fermato, almeno nel suo agire terreno, solo la morte, perché nessun altro era in grado di farlo. Per la politica, per il socialismo, per le persone, per il partito, per la sua famiglia e per chiunque gli chiedesse aiuto, non esisteva stanchezza, malanno, ostacolo che ne impedisse l’azione.
Il semplice ricordo lo renderebbe felice ma non raggiante, non gli si renderebbe onore.
Per fare questo, per immaginare di aprirgli il suo trascinante sorriso, si deve rendere immortale un modo di essere, un modo di fare, la pratica concreta di valori ed ideali che lui tempo fa ha scelto di sposare in una bandiera che per simboli ha avuto sole nascente, falce e martello, garofano rosso.