Riforma elettorale, il nodo cruciale delle preferenze
Un errore reintrodurre le preferenze, un tentativo che è farina del diavolo, tuona Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, preoccupato da un accenno possibilista di Renzi a far tornare, in un sistema che si avvia a diventare, con il Senato che sta venendo fuori, fondamentalmente monocamerale, la scelta dei parlamentari in mano agli elettori. Il voto di preferenza sarebbe l’ultimo colpo che verrebbe alla delegittimazione della politica in tempi di populismo montante per la pessima qualità, a rischio giudiziario, del personale politico che ne verrebbe premiato, tutto impegnato a farsi la guerra a vicenda nel proprio partito, piuttosto che a contrastare la proposta politica degli altri partiti. Se si aggiunge che farebbe riesplodere i costi della politica, il ritorno delle preferenze sarebbe la catastrofe perfetta per il sistema politico italiano. Da qui la messa in guardia al premier dal non concedere niente – neanche i collegi uninominali, che a fronte di tanto pericolo potrebbero salvare capra e cavoli (Panebianco non ne fa parola) – ai propri avversati, che gli chiedono, con una provinciale attenzione alla propria Corte Costituzionale (le liste bloccate sono “europee”), di far scegliere agli elettori i propri rappresentanti. Perché, testuale, «il vero scopo politico di chi vuole impedire le preferenze è chiaro: tentare di indebolire i leader più forti, e in particolare Renzi, impedire loro di dare vita, alle prossime elezioni, a gruppi parlamentari a propria immagine e somiglianzà». E qui dalla farina del diavolo si passa alle pentole, per cui fortunatamente talvolta mancano i coperchi, e le finalità di tutta l’argomentazione saltano fuori, spegnendo i fuochi del fornello di tutto il ragionamento. Fondamentalmente quando il popolo prende il vizio del rischioso populismo l’unico modo di contrastarlo è offrirgli un capo e i suoi seguaci, a sua immagine e somiglianzà, questa sembra essere l’idea. Il diaframma di una mediazione politica di una rappresentanza qualificata in proprio, magari senza vincolo di mandato, come da Costituzione, non è consentito. Renderebbe inefficiente la democrazia, «i costi collettivi sarebbero elevati». La collettività viene salvata solo dal Capo. Una storia che con varie gradazioni di purtroppo (dalla tragedia al patetico) abbiamo già sentito. Ma verrebbe da chiedere, se le preferenze sono davvero tutta questa nefandezza, se il primo consiglio da dare allora a Renzi non sia quello di eliminare le preferenze da tutto il sistema della rappresentanza in Italia: dalle comunali, alle regionali, per finire alla europee, che con una durissima guerra interna al Pd hanno “plebiscitato” (come probabilmente pensa Panebianco) Renzi con il 40 per certo. E anche dal Senato che Renzi vuoi far nascere, dove i senatori sono “dedotti” dai consiglieri regionali iperpreferenziati, e quindi, come da vulgata polemica renziana, molto più rappresentativi di un Mineo qualsiasi.
Insomma a essere più realisti del re, non si fa un favore neanche alle ragioni del re. Speriamo bene. Che il re sia più saggio dei suoi consiglieri, e non costruisca un sistema politico dove la rappresentanza è selezionata, dedotta dal sistema politico stesso, legittimata solo dal passaggio plebiscitario del Capo che vince elezioni e porta con sé al potere il suo seguito personale, «a sua immagine e somiglianzà». Salvo che in un punto. Nessuno dei seguaci potrà decidere niente. Solo obbedire e combattere, senza neanche credere. In un tempo di convenienze, è diffìcile che quella premessa “comunitaria” possa sostenere il carisma postmoderno degli attori che si candidano al ruolo nella società degli individui
Pubblicato su Il Messaggero del 04.08.2014