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Sindrome napoletana. Da leader carismatico a capro espiatorio.

dal Riformista – Le Ragioni del 11-12-2011

Elezioni Comunali - festeggiamenti vittoria De MagistrisIn questi giorni a Napoli si respira un’aria strana di speranza mista a disillusione. A pochi mesi dall’elezione di Luigi de Magistris, l’entusiasmo che aveva accompagnato la sua investitura non sembra essersi spento, anche se già si intravedono delle piccole crepe tra le file dei suoi sostenitori. L’onda arancione che, contro ogni previsione, era riuscita a sovvertire il risultato elettorale sembra ora divisa tra  il sostegno incondizionato e i primi timidi dubbi. Per alcuni, infatti,  la nuova democrazia partecipativa promossa da de Magistris si sta già arenando a causa del perpetuarsi dell’emergenza rifiuti, del personalismo di alcuni assessori e dello  scarso coinvolgimento di associazioni e gruppi di cittadini nelle assemblee di scopo o in quelle del popolo. Per i sostenitori più convinti ,invece, la rivoluzione arancione è appena iniziata ed è ancora tutta da costruire, inventare, sperimentare giorno dopo giorno. Senza dubbio è ancora troppo presto per poter capire cosa ne sarà del laboratorio napoletano e molto dipenderà dal lavoro del Sindaco e della sua Giunta.
Ma qualche riflessione si può, e forse si deve, azzardare già adesso.  Anche perché, quando si parla di Napoli, è spesso veramente difficile evitare di descriverla ricorrendo al gioco dei contrasti estremi.
Quartieri spagnoli e Posillipo, intellettuali e plebe, Rivoluzionari e Sanfedisti, ritardo cronico e laboratorio politico, città solare e accogliente ma anche cinica e violenta. E  si potrebbe proseguire a lungo con le opposizioni utilizzate e utilizzabili per descrivere una città Giano Bifronte.
Ovviamente Napoli non è l’unica città a mostrare un lato oscuro. Tuttavia quello che colpisce è che mentre nessuno mette in discussione gli opposti, per esempio di Roma o Milano, a Napoli la dualità è diventata una sorta di paradigma interpretativo. Ogni evento, nel bene e nel male, viene inevitabilmente ingigantito o minimizzato ricorrendo al suo contrario. Per chi non è nato sotto l’inquietante ombra del Vesuvio è spesso molto facile scegliere, seguendo il filo dei propri pregiudizi, quale parte della città prediligere.  È molto più complesso invece scegliere per chi ne vive ogni giorno i suoi contrasti.  Quasi nutrendosi delle quotidiane contraddizioni, si è cementata nei napoletani, dagli intellettuali ai ceti popolari, una visione fatta di opposti che si annullano a vicenda. Una sorta di napoletanità, perennemente in bilico tra orgoglio e autocommiserazione, che si ripropone a fasi alterne nella vita di tutti i giorni. Forse non esiste nessun napoletano che non abbia sperimentato almeno una volta nella vita l’esaltazione per la bellezza della propria città e poco dopo quella cupa e paralizzante disperazione causata dall’idea che nulla potrà mai cambiare e perciò ogni sforzo sarà inevitabilmente destinato alla sconfitta.
Anche se è difficile da credere, proprio  i napoletani, eterne vittime  di un perenne senso di inferiorità, sono i primi, feroci critici di se stessi, tanto che, secondo tutti i sondaggi, la stragrande maggioranza di essi è convinta di vivere in una città peggiore di qualsiasi altra al mondo. Paradossalmente  però questa severa autocritica (o questa pulsione autodistruttiva)  si trasforma in rabbia quando dall’esterno viene veicolata un’immagine della città esclusivamente negativa. Insomma ancora una volta, quasi senza accorgersene, i napoletani si dimostrano vittime dell’eterna maledizione delle “due città” .
Ovviamente questa napoletanità fatta di continue oscillazioni si riflette anche in politica. Al contrario di quanto si dice, Napoli non è affatto una città statica e immobile che si limita a sopportare tutto. La sua storia è piena di momenti di paralizzanti depressioni e di improvvisi e totalizzanti entusiasmi. Sempre in bilico sul precipizio, ad un passo dalla caduta, ma anche vicina ad una definitiva resurrezione, sembra  in perenne attesa di qualcosa o di qualcuno che possa sciogliere l’eterno nodo della sua identità bipolare. Proprio per questo, di tanto in tanto, ha bisogno di identificarsi nell’uomo forte mandato dalla Provvidenza, capace di sedurre l’immaginario collettivo, spesso utilizzando dosi massicce di demagogia,  con la promessa di riuscire una volta per tutte a risollevarla o quanto meno a darle un’identità normale.

La città di Masaniello si nutre di questi capi, ne celebra le gesta con orgoglio per poi odiarli con il rancore sordo dell’amante tradito. Paradossalmente questa necessità del leader carismatico  è auspicata,  più che dai ceti popolari, dagli  intellettuali  da sempre alla ricerca di qualcuno che possa riuscire a scrollare loro di dosso il marchio di meridionali pigri, indolenti e avvezzi ad ogni compromesso. Forse non è un caso che tra le grandi città soltanto qui esista la figura del sindaco  Über-Mensch, per dirla alla Nietzsche, ovvero del decisionista capace di colmare con il suo carisma e il suo esempio i limiti di una collettività che non riesce a definirsi. Basta scorrere la lista storica dei sindaci partenopei per accorgersi di quanti nel passato e nel presente abbiano incarnato questo ruolo sociale: Nicola Amore, Achille Lauro, Maurizio Valenzi, Antonio Bassolino fino al giorno d’oggi con Luigi de Magistris. Ad accomunarli, oltre al carattere sanguigno e sopra le righe, è spesso lo stesso processo che ha favorito la loro ascesa. Un processo caratterizzato da strappi e rotture, ribellioni estemporanee e accesi entusiasmi che nascono quando la città sente la propria dignità calpestata, come è successo, per limitarci ai tempi recenti, durante il primo mandato di Bassolino post tangentopoli o al de Magistris della rivoluzione arancione. Per manifestarsi il sindaco  Über-Mensch ha bisogno di sacrificare sull’altare i suoi predecessori come capri espiatori sui quali addossare tutte le colpe, le delusioni e le mancanze di una intera città. Deve volare alto, promettendo la realizzazione di sogni, e nel contempo deve  manifestare con veemenza le proprie differenze. Tutto ciò per far crollare il muro della disillusione ed acquistare credibilità.

Seguendo un perverso ciclo di auto riproduzione degli opposti, basta però che qualche male endemico della città affiori o che vengano a galla le demagogie e le contraddizioni di chi governa, per trasformare il sindaco carismatico nel nuovo capro espiatorio. L’illusione che basti un solo uomo per risolvere i mali collettivi si dissolve in breve tempo, lasciando campo aperto al risentimento sordo di chi si sente ancora una volta preso in giro e non si accorge che il male imputato agli altri non è altro che il riflesso delle proprie mancanze. Così si ripete ancora una volta quell’oscillazione tra depressione e speranza che sembra il vero elemento distintivo dei napoletani.  A complicare le cose contribuisce certamente l’atteggiamento tipico di molti politici e intellettuali che continuano a cavalcare le contraddizioni. Questo paradosso è quanto mai evidente in buona parte della sinistra cittadina che di fronte al perpetuarsi del ciclo capo carismatico – capro espiatorio  non riesce a far altro che presentarsi come portavoce di una Napoli “buona” contrapposta alla Napoli “cattiva” o, peggio ancora, preferisce con snobismo intellettuale  rifugiarsi nella sua torre d’avorio rifiutandosi persino di cercare di capire la propria città.

Probabilmente Napoli è solo e semplicemente Napoli. Senza aggettivi o opposti.  Nata secondo il mito da una sirena, un essere mitologico capace con il suo canto  di annientare la volontà persino dell’uomo più forte che vorrebbe dominarla.  Per sopravvivere al suo sortilegio l’unica speranza è imparare ad uscire dagli schemi, abbandonando le rotte sicure delle proprie certezze per cercare di coglierne l’ arcana armonia.

Scritto da

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  • Marianna

    A NApoli o sei il Re Nasone, un pò imbroglione o fai la fine di Masaniello eroe ad ore!