Spes ultima dea
“Quando mai, se non adesso, il Pd dovrebbe fare il primo congresso vero della sua storia, mettendo a confronto non solo candidati più o meno ipotetici, ma idee, proposte, progetti che abbiano un senso per il Paese, e insomma cercando di decidere quale partito vuol essere? E come è possibile fare un congresso vero senza uno scontro vero tra candidature vere, e cioè fondate su piattaforme politiche vere, discusse apertamente dai militanti, o come si chiamano adesso, e dagli elettori? E come sarebbe mai immaginabile, se ciò avvenisse, che lo stesso Renzi non fosse della partita, tra l’altro costringendosi, o venendo costretto, a lasciare i panni del vincente per antonomasia per vestire quelli del contendente politico chiamato finalmente a entrare nel merito del partito e della sinistra che ha in mente? ”
Paolo Franchi
Parlando del futuro della sinistra non si può che iniziare dal futuro del PD, il futuro prossimo che avrebbe dovuto trovare nel Congresso lo snodo principale. Il PD nonostante tutto rappresenta ancora la maggior forza progressista del Paese. Per questo motivo ogni ulteriore ritardo nella definizione di quali debbano esserne, senza più finzioni pseudo organizzative, gli elementi costitutivi ed i riferimenti sovranazionali, si ripercuote drammaticamente sulla sinistra nel suo complesso. E’ altrettanto vero, però, che attualmente il PD rappresenta il principale fattore di crisi della sinistra. Entro breve tempo può diventare l’epicentro del terremoto o l’elemento intorno al quale ricostruire e rilanciare la sinistra normalizzando – nel senso di una adesione senza più alcun tipo di originalità organizzativa – i rapporti col movimento socialdemocratico e laburista europeo. Sapendo che in Europa, a causa del fattore Germania, i problemi sono ben lontani dall’essere risolti e che lo stesso approdo, definitivo, al PSE non può essere la panacea di tutti i mali ma, almeno, può rappresentare una occasione per cercare di cambiare in profondità l’atteggiamento dei partiti socialdemocratici di fronte alla crisi, ancora troppo timido nei confronti della Commissione UE e della BCE.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di costruire un soggetto unitario della sinistra che conservi la memoria storica ed il patrimonio di idealità, di lotte, di battaglie politiche della sinistra storica e del movimento operaio e sindacale, che abbia un chiaro profilo identitario ed una solida cultura politica e di governo, e riconduca a sintesi queste esperienze nell’ambito più ampio del movimento socialdemocratico e laburista europeo.
A fronte di tutto ciò, le premesse del congresso prefigurano i rischi di un possibile accantonamento del punto principale, che riguarda la definizione del profilo identitario. Solo questo consentirebbe una serie di chiarimenti dal punto di vista della cultura politica, della definizione della coalizione – espressione di un blocco sociale sociale ben preciso – a cui si vuol dar vita e che si intende rappresentare, a prescindere dalle alchimie politiche e dalle possibili alleanze di governo. Identità e profilo politico e culturale determinano il modello organizzativo e la proposta programmatica.
Dovrebbe, potrebbe, sarebbe. La normalità del condizionale determinata da una realtà che diversa da quella immaginata fino a qualche mese fa. Il governo Letta pone problemi innanzi tutto al PD, che ancora non ha individuato – ammesso che si in grado di farlo – una strategia che possa rafforzarlo a sinistra, aumentare il proprio potere di coalizione e spostare l’azione di governo in direzione di una maggiore giustizia sociale, di un riequilibrio dei sacrifici imposti agli italiani ed un cambiamento delle linee di politica economia e sociale da imporre innanzi tutto su scala europea, iniziando però ad emanciparsi dai diktat della troika già con la prossima Legge di stabilità.
Ciò nondimeno, le candidature in campo possono aiutare a capire quale potrà essere il futuro del PD.
Cuperlo è, probabilmente, il candidato più vicino ad una idea di sinistra che sappia quale sia la coalizione sociale da costruire e quali gli interessi da rappresentare. Una sinistra proiettata in Europa e nella vasta area del movimento socialdemocratico europeo ma che non perde di vista peculiarità e problemi dell’Italia.
Rimane una sorta di blocco psicologico rispetto ad una parola, ad un sostantivo, ad un aggettivo: socialdemocrazia, socialismo, socialista.
Magari, passo dopo passo, il blocco passerà.
Al momento, accontentiamoci dei contenuti, che non sono male
C’è un “candidato che non si candida”: Fabrizio Barca. Il suo lavoro di approfondimento e ricerca sullo stato del PD, fino ad arrivare al cuore del partito, i militanti, è encomiabile. E’ l’unico che si sia schierato contro le tanto osannate primarie aperte, strumento distruttivo che toglie il partito agli associati (gli iscritti) per metterlo nelle mani dei passanti, dei fantomatici elettori che non hanno alcun titolo per decidere le sorti di una associazione a loro estranea e per la quale non impiegano né tempo né denaro.
Il profilo di Barca è quello di un tecnico che si trasforma in politico, mantendendo un pragmatismo di base che forse ha poco o nulla di “socialdemocratico” ma lo caratterizza – comunque – come uomo di sinistra. Una sinistra liberale che sa cosa sia un partito, quale ne sia l’importanza fondamentale per il corretto funzionamento della democrazia e della dialettica democratica, che ha ben presente il ruolo di una partecipazione effettiva e consapevole nella sua vita interna, ad ogni lviello decisionale
Ci sarà il candidato della sinistra bersaniana, alleata degli ex DC Letta e Franceschini (e Fioroni, tanto per non farsi mancar nulla).
Un’area che, proprio in virtù della sua composizione, è destinata all’immobilismo, stretta tra il patto di governo e il patto di partito.
A meno di novità che al momento non sono ipotizzabili.
Tralasaciando – per carità di patria – la candidatura di Civati (il nulla oltre lo sguardo un po’ piacione ed un po’ ebetino) arriviamo alla candidatura Renzi.
Alla luce delle reiterate interviste del sindaco fiorentino, una delle poche cose certe nel caso di una sua elezione alla segreteria, è la svaporizzazione del PD come partito (o ciò che ne rimane), tanti saluti alla mobilitazione cognitiva ed ad una riorganizzazione sul modello dei partiti socialdemocrativci e laburisti europei, l’utilizzo del partito ai soli fini autopromozionali del leader acclamato non dagli iscritti ma dalle moltitudini di elettori spinti da una sostanziale uniformità di vedute dei grandi organi di informazione che, ovviamente, ritengono una iattura un partito della sinistra che sia di governo, europeo ed europeista ma che non acquisisca come leggi fondamentali quelle decise tra Bruxelles, Francoforte e Berlino, che trovi nell’adesione al PSE sia i motivi di una rinnovata idea di Europa, sia la possibilità di sostenere le spinte – interne al movimento socialdemocratico europeo ma non ancora “maggioritarie” – che tendono ad una definitiva fuoruscita da politiche di sostanziale subalternità a quello che si è caratterizzato come un vero e proprio pensiero unico su scala continentale e si è concretizzato nel modello economico neoliberista.
A questo aggiungiamo l’ispirazione “andreattiana”, i reiterati applausi ad Ichino, la proposta di una sorta di paternalismo compassionevole come modello di politica sociale, la continua cavalcata delle più becere tensioni antipolitiche, ad iniziare da quella sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Di fronte alla possibilità che la sinistra sia ridotta ad un ruolo di assoluta marginalità, che il conflitto sociale sia nuovamente sterilizzato nel nome di un desiderio di armonia universale al cui centro sia posto il sole Renzi, beh, a cercare un aggettivo che possa rendere plasticamente i possibili esiti di una segreteria Renzi mi viene in mente solo “agghiacciante” (ma non alla Crozza).
Allo stato dei fatti, sono pochi i motivi che possono indurre all’ottimismo.
Sembra l’ennesimo caso in cui l’ottimismo della volontà si scontra – perdendo – con il pessimismo della ragione.
Ma c’è sempre la speranza che, tutto sommato, è l’ultima a morire. E, come sempre, è l’ultima risorsa della sinistra.
Spes ultima dea.