Tante Prime Pietre per ricominciare
La prima pietra nasce per unire e non per dividere. Anche se, come si sa, le pietre possono fare pure male, la Prima Pietra vuole essere uno strumento di contaminazione, un luogo telematico capace di creare un piccolo spazio aperto al confronto tra le varie anime sparpagliate della sinistra. Un ponte tra quello che è successo ieri, quello che accade oggi e quelle che sono le nuove teorie di pensiero critico al capitalismo neo-liberista. Nessuna ambizione di trovare le risposte. Nessuna pretesa di avere in tasca la verità assoluta. La voglia soltanto di essere un “work in progress” capace di parlare delle contraddizioni del presente e di iniziare a porsi le domande giuste per ritornare alla radice della crisi profonda in cui viviamo. Da molto, troppo tempo, il dibattito in Italia assomiglia più alla comunicazione binaria propria dei computer che non a quella tra esseri umani. Qualsiasi questione pubblica viene semplificata fino all’inverosimile, ridotta ad un quiz a risposta multipla. A furia di tifare e di dividerci tra mille fazioni, riformisti e rivoluzionari, rottamabili e rottamatori, politici e opinione pubblica, abbiamo perso di vista la capacità di analizzare nel profondo le cose. E così, mentre continuiamo a guardarci l’ombelico, ciò che ci circonda rischia di travolgerci prima che ce ne rendiamo conto.
Un esempio? La profonda crisi che investe il mondo occidentale sembra indicare che ormai è la stessa società in cui per anni abbiamo vissuto e la stessa democrazia ad essere a rischio di implosione. Liberalizzazioni, privatizzazioni, precarizzazione e paura della vita per le nuove generazioni, blocco delle pensioni e riduzione degli stipendi per chi già lavora, sono queste le uniche ricette elaborate da chi questa crisi ha generato. Ma cosa accadrà quando un’intera e trasversale generazione si troverà a condividere con i propri genitori un eterno presente di sottoccupazione e precarietà? Basteranno quei pochi privilegiati rimasti che come minimo dovranno comprare dieci frigoriferi all’anno, fare una vacanza al mese e cambiare auto ogni tre mesi a sostenere la domanda interna di una società che ha come unica ragion d’essere il consumo senza limiti? Ma soprattutto avrà ancora senso definire democratico uno Stato che offre in sacrificio ogni forma di giustizia sociale, uguaglianza e libertà ai conti in regola e alle agenzie di rating?
Probabilmente ancora per qualche tempo potremo continuare ad illuderci che la crisi, come una tempesta di neve, sparirà da sola e che per invertire la rotta basteranno dei piccoli correttivi. Ancora per qualche tempo potremo credere che il neo-liberismo sfrenato, magari leggermente mitigato, è l’unica efficace ricetta per risolvere le contraddizioni interne del sistema. Tuttavia prima o poi la realtà busserà alla porta, dimostrando che a cambiare non deve essere il solo modo di concepire l’economia, ma anche la democrazia e la nostra stessa mentalità. E allora se prima o poi dovremo comunque confrontarci con la realtà, perché non iniziare già da ora magari riprendendo, come del resto accade già in molti paesi europei, l’attualità di quel pensiero socialista dato per morto troppo frettolosamente dopo la caduta del socialismo reale?