Tecnici e politici, il vero scontro in atto
di Angelo Giubileo.
Cosa avrebbe potuto fare di più un governo di tecnici sostenuto in ogni caso da più o meno gli stessi politici di prima?
Ho riflettuto più volte sul fatto se scrivere o no questo articolo, e alla fine, com’è evidente, ho deciso di farlo, ma al fine assolutamente prioritario di aprire una discussione intorno a tutta una serie di tematiche e dinamiche connesse al capitolo in questione, che riguarda ancora una volta le pensioni!, espressioni della vitalità del nostro paese.
Abbiamo già scritto più volte che l’Italia si conferma sostanzialmente un “paese per vecchi”. In sintesi, sia perché dal punto di vista della spesa il dato oggi forse più significativo è che il livello elevato di spesa pensionistica di vecchiaia e superstiti è il 14,1% del PIL, rispetto alla media del 7,0% in ambito OCSE; sia soprattutto perché siamo il secondo paese in ambito OCSE dopo il Giappone con l’indice demografico meno vantaggioso, e cioè 2,6 persone in età lavorativa (20-64) per ogni persona in età da pensione (+ 65) ed un dato tendenziale che nel 2050 stima addirittura questo stesso rapporto in misura pari a 1,5, vale a dire 3 lavoratori ogni 2 pensionati!
In risposta ad un articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, l’ex ministro Brunetta ha dato conto per parte sua delle differenze di manovra, richiesta dall’Europa, e poste in essere sul piano finanziario dall’ultimo governo Berlusconi e dall’attuale governo Monti, rispettivamente “per un effetto cumulato, fino al 2014, di 265 miliardi di euro” a fronte di soli “65 miliardi di euro in questi ultimi dieci mesi (dati Banca d’Italia)”. Interessante è anche notare che, a giudizio dell’ex ministro, dal punto di vista qualitativo, l’intervento del governo Monti si sarebbe caratterizzato solo per “due punti, pensioni di anzianità e norme sul licenziamento dei dipendenti, (…) i cui provvedimenti stanno producendo più costi che benefici (si pensi al problema degli esodati e all’aumento della disoccupazione, soprattutto giovanile)”.
Sono d’accordo con l’ex ministro!; anche se, vi chiedo: cosa avrebbe potuto fare di più un governo di tecnici sostenuto in ogni caso da più o meno gli stessi politici di prima (senza la Lega, ma con l’aggiunta di Pd e Udc!)?! E inoltre, se differenza come dice lui c’è stata, sono d’accordo ancora!, ma giova anche ricordare che: a) il governo Monti ha puntato subito sulle pensioni al fine essenzialmente di fare cassa; b) era chiaro sin da allora che la stessa manovra avrebbe tuttavia pesantemente aggravato il problema sia della perdurante, circa decennale, crisi occupazionale sia del taglio non più procrastinabile degli organici fattuali della P.A. Ma, insisto: la manovra passava solo e soltanto grazie ai voti di una classe politica e di una maggioranza di governo, mi sia consentito di aggiungere, che praticamente tutti abbiamo ritenuto necessaria oltre che responsabile.
Orbene, a distanza di quasi un anno e in vista anche e soprattutto delle prossime elezioni politiche, è forse cambiato qualcosa? Stavolta, niente a che vedere con lo spread e con i mercati, si è verificato piuttosto un fatto politico che reputo oltremodo significativo, in quanto travalica i limiti del provvedimento stesso da adottare eventualmente in via definitiva e ritengo serva notevolmente a chiarire la portata e i limiti della crisi e dello scontro politico e sociale in atto nel nostro paese.
Dopo una serie di rinvii, il 7 agosto scorso l’XI Commissione Permanente della Camera (Lavoro pubblico e privato) ha adottato in sede referente un testo di legge (Testo unificato C. 5103 Damiano, C. 5236 Dozzo, C. 5247 Paladini) concernente “modifiche alla vigente normativa in materia di requisiti per la fruizione delle deroghe in materia di accesso al trattamento pensionistico”. Riguardo agli interventi e ai contenuti della discussione, è emerso soprattutto:
– l’approvazione momentanea di un testo che ripristina, in toto, la possibilità di andare in pensione con un’età compresa tra 58 e 61 anni di età unitamente a 35 anni di contributi e calcolo della pensione interamente con il metodo contributivo;
– lo stravolgimento dell’impostazione originaria del testo, pensato per venire incontro alle esigenze degli attuali “esodati”, con la conseguenza di estendere un “percorso di deroga a lungo termine, che arriverebbe a coprire sin d’ora lavoratori con diritto a pensione a decorrere dal 2019” (G. Cazzola); la possibilità cioè di consentire il pensionamento anticipato per tutti quei lavoratori che, in base alle norme attualmente in vigore con la legge Fornero, maturerebbero il diritto non prima del 2019;
– la volontà di tutti i partiti, nessuno escluso!, di proseguire rapidamente nell’iter di approvazione del testo, nonostante il diverso parere della ministro Fornero, che ha inviato una lettera alla Commissione in cui chiedeva di rimandare la discussione di “circa un mese”, al fine di meglio valutare e approfondire soprattutto l’impatto finanziario della nuova proposta, visto che “esistono alcuni elementi oggettivi che sconsigliano l’adozione, in questa fase, di scelte non adeguatamente ponderate” e ritenendo “altresì, che occorra fare ogni sforzo per evitare anche il solo rischio di adottare misure che, se non adeguatamente comprese anche in sede internazionale, potrebbero avere l’effetto di compromettere gli sforzi di stabilizzazione finanziaria sin qui profusi dal Parlamento, dal Governo e dal Paese”.
Per quanto detto brevemente finora, direi allora che la vicenda in questione riassume bene l’importanza decisiva dello scontro in atto, che avviene, non dimentichiamolo, sempre sotto l’egida europea! Scontro che, già nel presente, porta con sé tutta una serie di interrogativi che valgono anche per il futuro: governo tecnico o politico, risparmi e/o investimenti, lavoro e/o pensioni, etc. In generale, una sola grande questione, che è poi sempre quella della classe dirigente e soprattutto del ricambio generazionale.
Angelo Giubileo