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18 Lug 2013

Un piano Marshall per l’Europa, ci prova il sindacato tedesco

Le grandi organizzazioni dei lavoratori, da sempre vicine alla sinistra europea, sembrano assumere una chiara iniziativa di fronte alle ricette, inefficaci e depressive, sponsorizzate da Bce e governo Merkel. Nel passare all’azione, ad esempio, la tedesca Dgb mostra la propria preoccupazione per il protrarsi della crisi, ormai definibile grave e prolungata quanto quella degli anni ’30. Il crollo, maggiore delle attese, dell’export tedesco nel resto d’Europa è la molla fondamentale del nuovo protagonismo Dgb, ma ad esso si aggiunge una sempre più malcelata insofferenza per l’inerzia o l’inefficacia del partito di riferimento: la Spd.
DGB2Il più importante, e molto concreto, segnale di tutto ciò è il “Piano Marshall per l’Europa”, che la Dgb sta diffondendo, e che la nostra Cgil ha accolto con attivo interesse. Gli esperti Dgb valutano che esistano al momento 27000 miliardi di Euro alla ricerca di veri investimenti. E’ l’effetto delle politiche monetarie e della palese inaffidabilità di qualunque prospettiva di crescita attuale. Per questo la Dgb propone di raccogliere risorse, tramite un apposito titolo rivolto specialmente agli investitori istituzionali (ma non solo). Il fondo sarebbe in grado di assicurare investimenti per 260 miliardi annui, fra investimenti diretti (160) e prestiti a bassi tassi agli investitori privati (100). Aggiungendo gli investimenti privati che ne discenderebbero si giungerebbe a 400 miliardi, con un impatto intorno al 3% del Pil e oltre 10 milioni di posti di lavoro a tempo pieno in settori innovativi. A tale raccolta (chiamata Future Fund) si aggiungerebbero i proventi della tassa sulle transazioni finanziarie e su fortune e alti redditi (oltre i 500 mila Euro), ma solo per costituire la dotazione di base del fondo, che consentirebbe di tenere bassi gli interessi da corrispondere a chi lo alimenta. L’obbiettivo è quello di investire in riduzione del consumo energetico, economia e infrastrutture “verdi”, che condurrebbero ad un forte ridimensionamento della bolletta energetica. Sono anche previste spese (subito traducibili in posti di lavoro) nella “nuova edilizia”, che anziché consumare suolo innova edifici pubblici e aree già costruite. Edifici scolastici e ospedali verrebbero predisposti per ridurre i consumi energetici, ma anche l’edilizia privata potrebbe beneficiarne. Con un incrocio fra edilizia e risparmio delle risorse naturali, per esempio, i sistemi idrici potrebbero sfruttare l’acqua piovana per certi usi domestici solo che nelle abitazioni si separassero le tubature del consumo idrico “alimentare” da quelle di altro tipo. Con un incrocio fra edilizia e welfare, l’autosufficienza degli anziani in crescita demografica potrebbe essere di molto prolungata solo che milioni di abitazioni europee venissero adattate alle loro esigenze, con evidenti risparmi della accoglienza in istituzioni pubbliche. Sono solo alcuni esempi minori del piano Dgb, che racchiude ben altre implicazioni.

Esso incita ad un ritorno in campo del riformismo “alla Delors”, che con altri leader socialisti nel passato aveva esortato a sfruttare lo spazio europeo in questo modo. Senza limitare la Ue a mera guardiana delle “ortodossie” monetarie. Oppure, all’opposto, senza esaurire la critica della UE presente nell’auspicare un federalismo del domani che, senza soluzioni come il nuovo “piano Marshall” Dgb, non può progredire mosso solo dalla nobiltà del manifesto di Ventotene. Alla base di tutto c’è l’assunto per cui senza una spinta politica e sociale forte, centrata sul lavoro e su una concezione critica, e non esangue, del riformismo, il capitalismo in crisi è incapace di sfruttare i potenziali del mercato e dell’innovazione. La proposta della Dgb richiama soluzioni storiche (gli Usa di Roosevelt, le socialdemocrazie nordiche, il Benelux) che negli anni 1930 superarono gli opposti immobilismi ideologici (il comunismo che attendeva il crollo, il liberalismo delle parità monetarie con l’oro) inventando il percorso per evitare conseguenze peggiori e per costruire una più forte democrazia nel secondo dopoguerra.  Anche negli anni 1930, per la verità, vi fu una socialdemocrazia attendista, soprattutto interessata a guadagnare la “rispettabilità” delle dottrine economiche ortodosse. Soprattutto quella tedesca. Essa infatti fu poi sconfitta da Hitler non a causa dell’alta inflazione (come erroneamente molti ripetono) ma al contrario della disoccupazione creata dalle successive irrazionali strette monetarie. Oggi la Spd non teme certo eventi tragici come quelli, ma rimane immobile, anche per giochi interni su cui potremo tornare in altra occasione. Per questo la Dgb rompe gli indugi, e intorno al suo piano intende coinvolgere la CES (il sindacato europeo). Giochino appieno, la Dgb, la Cgil e gli altri sindacati, un ruolo oggi insostituibile: contribuiscano nel 2014 fortemente alla campagna del Partito Socialista Europeo per Martin Schulz presidente UE. La mobilitazione sindacale intorno al Piano della Dgb, in un’elezione europea sempre più esangue, potrebbe avere un peso decisivo per il bene anche di una effettiva “europeizzazione delle masse” nel nostro continente.

da L’Unità del 13/07/2013

 

 

Scritto da

Paolo Borioni

- Storico, dottore di ricerca all'università di Copenaghen, collaboratore del Center for NordicStudies e dell'Università di Helsinki. Si occupa di storia dei paesi nordici, storia del socialismo, welfare state, storia delle istituzioni politiche, temi su cui ha all'attivo molte pubblicazioni e articoli. Contribuisce regolarmente alla stampa quotidiana e a riviste di dibattito politico-culturale. Tifoso della SSLazio 1900 da tre generazioni, di sinistra da quattro generazioni.