Una massa in attesa di rappresentanza
Cercare di trovare delle risposte generali nelle elezioni amministrativi è molto spesso un esercizio ozioso e a volte molto forviante, anche perché il giorno dopo, nessuno ammette la sconfitta e tutti cercano di strumentalizzare il voto. Tuttavia, nel generale clima di stravolgimento politico e sociale del paese, questa tornata elettorale offre qualche indicazione a grandi line sullo stato di salute della democrazia italiana. Il primo dato che balza agli occhi è ovviamente il trionfo del partito dell’astensione. Al netto di polemiche e interpretazioni di parte, questo dato dovrebbe essere preso in seria considerazione da tutti i partiti, soprattutto dal M5S che credeva di avere il monopolio politico del voto non tradizionale. Se in alcuni casi un italiano su due ha deciso di non andare a votare è perché considera la democrazia rappresentativa, in tutte le sue componenti, incapace di assolvere al suo ruolo. Sebbene l’offerta politica sia diventata molto più ampia del passato, queste elezioni indicano che esiste ancora nel paese una forte massa elettorale in attesa di rappresentanza. Una maggioranza silenziosa che partiti politici vecchi e nuovi, sondaggisti e media non riescono a intercettare né a capire e che forse meriterebbe analisi più approfondite di semplici chiacchiere da bar.
Il secondo dato evidente è che nella politica come nella società, tutto si muove ad una velocità talmente impressionante da rendere vano ogni tentativo di comprensione. Basti pensare che il Pd, considerato quasi da tutti in via d’estinzione, oggi risulta l’unico partito, dei tre maggiori presenti in parlamento, ancora in buona salute. Sebbene alla vigilia del voto quasi tutti pronosticassero un tracollo assoluto, sui social network nove utenti su dieci manifestavano il loro disprezzo per il Pd e gli emiliani annunciavano di non voler più fare le feste dell’Unità, i democratici sono in testa in tutti i principali centri, compreso la città di Siena travolta dallo scandalo del Mps e la leghista Treviso.
Ovviamente questi risultati vanno contestualizzati evitando inutili speculazioni. Il probabile en plain amministrativo non significa affatto che il i democratici abbiano magicamente risolto i loro problemi o che sia iniziata una impetuosa fase di risalita. Il Pd è un partito tutto sommato resistente sul territorio, ma senza una chiara identità continuerà a pagarne le conseguenze alle politiche dove vince il leader riconosciuto e appoggiato da tutti che si presenta ovunque e fa da traino. La forza del Pd continua ad essere la base dei suoi iscritti e i suoi dirigenti locali che sono capaci di reggere l’urto malgrado i tremendi errori commessi dai big nazionali.
Paradossalmente i limiti politici del Pd a livello nazionale sono speculari a quelli dei grillini a livello locale. Se infatti è vero che il M5S soffre a livello delle elezioni amministrative, questa sofferenza è la spia di enormi lacune sul piano politico che impediscono al movimento di fare un salto di qualità. Il primo limite su cui Grillo dovrebbe interrogarsi, invece di insultare in maniera puerile gli elettori “ingrati”, è che la sua creatura è ancora vista soltanto come un movimento di protesta e non di proposta. Nonostante lui abbia materialmente solcato quasi tutte le piazze d’Italia, i suoi candidati locali non sono stati percepiti dagli elettori all’altezza della situazione, il che a livello locale pesa non poco. Del resto una cosa è dare fiducia a Beppe Grillo per una istituzione percepita lontana come il Parlamento e altra cosa è affidare i destini della propria città per cinque anni magari ad un giovane considerato inesperto. Al netto della retorica “dell’uno vale uno”, della polemica sui giornalisti canaglia e sul programma, è chiaro che il voto locale dimostra che l’M5S è percepito ancora come un partito fortemente personale, totalmente dipendente, nel bene e nel male, dall’ingombrante figura del suo leader e d una classe dirigente inadeguata.
Il secondo limite evidenziato in queste elezioni dai Cinque Stelle è che la tecnica comunicativa iperaggressiva dei strateghi della comunicazione della Casaleggio e del Fatto Quotidiano non ha, almeno nell’immediato, dato risultati evidenti. La continua guerra dei grillini contro tutto e tutti, il perpetuo no a qualsiasi confronto con le altre forze politiche, gli insulti e le maledizioni nei confronti di chi vota diversamente (soprattutto Pd), il divieto di parlare alla stampa e l’aggressività costante di chi si sente superiore hanno al massimo caricato ancora di più quello zoccolo duro che ruota intorno al blog di Grillo, che vale circa un 10% dei votanti, non certo attratto nuovi elettori. Continuando di questo passo molto difficilmente si avvererà il sogno di Grillo di rappresentare il 51% degli italiani. Anche perché, di solito, chi è accusato di essere complice di tutti i mali del mondo non è molto propenso a dare il proprio voto proprio a chi non perde l’occasione per offenderlo. Al massimo continuerà a manifestare il suo malcontento disertando le urne.