Vince Hollande, il socialista che non ha paura di parlare di equità sociale, diritti civili e lavoro.
Alla fine François Hollande ce l’ha fatta. Dopo trentun anni dalla storica vittoria di François Mitterrand un altro socialista entra all’Eliseo. E il messaggio che arriva da questo nuovo maggio francese è ancora una volta carico di speranze. Per la Francia, per l’Europa. Al di là di ciò che rappresenta per gli stessi francesi, la vittoria di questo socialista dal volto bonario è stata salutata dalla sinistra europea come la prima tappa verso quel necessario cambiamento della politica europea. Infatti per tutta la campagna elettorale François Hollande si è espresso per un radicale cambiamento delle politiche di rigore teutoniche, arrivando a mettere in discussione i fondamenti della linea della Merkel e del Fondo Monetario Internazionale.
Certamente è ancor troppo presto per capire come si muoverà la nuova Francia nel marasma della crisi e se davvero è iniziato un nuovo corso socialista capace di cambiare il volto del Continente. Tuttavia questa vittoria ha avuto il merito di provocare uno tsunami nella sinistra europea e soprattutto nell’abulica sinistra italiana. François Hollande rappresenta l’esatto contrario del prototipo del candidato vincente tanto celebrato da editorialisti e politici nostrani. Per anni infatti abbiamo sentito ripetere come un mantra che per vincere non solo bisognava inseguire i moderati, bisognava persino dire e pensare cose da moderati. Negli ultimi venti anni la classe dirigente della sinistra italiana, spalleggiata delle più brillanti firme del giornalismo, come unica strategia ha avuto quella di rinnegare la propria radice cercando affannosamente di trovare nomi e slogan sempre più neutri e vaghi, capaci di risultare rassicuranti alle orecchie dei moderati. Ovviamente l’abiura non doveva solo essere rivolta al deplorevole passato comunista o socialista, ma si doveva spingere più in là, bollando come pericolosi estremisti persino coloro che si definivano Keynesiani, termine che in Italia ha assunto una connotazione leggermente meno rivoluzionaria di “maoista”.
Ora dalla Francia arriva questo umile e anonimo socialista dichiaratamente di parte che non si è mai travestito da esponente della società civile, che non solo non rinnega la propria storia, ma imposta la campagna elettorale rivendicando tutti i capisaldi del socialismo a partire dalla battaglie storiche e dai simboli più forti. Un socialista radicale nelle sua coerenza e moderno nel modo di pensare, lontano anni luce dai bizantinismi italici. C’è da scommettere che nessun nostro politico, che pure oggi festeggia come propria la vittoria dei PSF, avrebbe mai avuto il coraggio di dire o fare le cose fatte da Hollande per paura di apparire troppo di sinistra. Nessun candidato di sinistra alla Presidenza del Consiglio avrebbe mai scelto come canzone di apertura di un comizio “Bandiera Rossa” o “L’internazionale” né mai gli sarebbe venuto in mente di cantare “Bella Ciao“ per salutare i propri sostenitori. Ma soprattutto nessun esponente di primo piano avrebbe usato parole tanto chiare, abbandonando ogni ambiguità, per schierarsi apertamente a favore dei lavoratori.
Eppure questa sinistra italiana che ha vergogna persino di dichiararsi socialdemocratica, che fino a qualche giorno prima considerava il socialismo “una questione superata”, oggi spera di aver trovato l’ennesimo “papa straniero” ( e mai come in questo caso l’appellativo è calzante), il deus ex machina capace di indicare la strada. Quello che sfugge ai tanti abituati per incapacità od opportunismo ad affidarsi all’uomo della divina provvidenza, è che l’ Europa non potrà cambiare soltanto per la volontà di un uomo per quanto presidente della seconda potenza europea. In un mondo globalizzato l’unico modo per riuscire a opporsi allo strapotere della finanza speculativa è che in ogni nazione rinasca una sinistra coerente che la smetta di non scegliere per accontentare tutti, offrendo proposte politiche fatte strizzando l’occhio alla finanza speculativa e nel contempo alle vittime della stessa. Il baratro a cui ci stiamo avvicinando a rapidi passi impone la scelta tra due alternative: continuare a illudersi che, aumentando il divario tra pochi privilegiati e una massa di sfruttati, tutto si sistemerà oppure attuare una totale rivoluzione nel modo di pensare l’economia e la società. Tertium non datur. Con ogni probabilità, anche nel migliore dei casi, gli effetti non potranno essere immediati. Trenta e passa anni di dominio dei mercati e di abdicazione della politica non possono essere cambiati di punto in bianco. La battaglia è solo all’inizio e ancora molto c’è da discutere e da confrontarsi.